Una non-intervista a Marco Anghileri
Un nuovo amico di thuler.net che risponde da par suo al richiamo dell'Alpe. Vi raccontiamo di lui.

E la cosa avrebbe continuato ad essere una tra le tante informazioni, presa e rimessa nel cassetto del dimenticatoio, o tutt'al più lasciata a far compagnia alla lista delle cose che si sanno e di quelle che si vorrebbero conoscere un giorno, domani, il mese prossimo, se va bene forse quest'anno, ma che sono lì ad attendere promesse che raramente si mantengono.
Poi mi è successo d'incontrare Marco Anghileri e probabilmente non sarebbe mai stato possibile senza l'esistenza di quella montagna incantata. L'ho incontrato un pomeriggio al Politecnico di Milano, perché gli amici dell'Associazione Gecko l'avevano invitato a raccontarsi e a raccontare le sue storie di montagna.
Sarà che sono uno che si impressiona subito, ma immediatamente, dal fondo di un'aula di nonancoraingegneri, appollaiato sulla finestra, così tra il lusco e il brusco, quel ragazzo mi ha colpito subito per quel modo semplice di parlare di cose straordinarie e straordinariamente difficili, per il sapersi porre senza quella falsa modestia che indispone e senza nemmeno quell'atteggiamento da john wayne delle vette, tipico invece di molti.
Catturati da quell'espressione un po' stupita che sempre gli leggi negli occhi chiari o che puoi indovinare per via del sorriso aperto e dal ciuffo castano irrequieto che sottolineano i gesti e il parlare, una platea di ragazzi milanesi si è scoperta con lui in giro per le Alpi, irresistibilmente trascinati dal susseguirsi di tramonti, amici e salite solitarie descritti di diapositiva in diapositiva.
Così in quella sera ci siamo dati appuntamento per andarlo a trovarlo nella sua Lecco, perché l'idea, neanche del tutto bislacca, era di tentare un'intervista da pubblicare sul sito. L'intervista come immaginavo non è venuta fuori, sapete: quelle del tipo domanda/riposta, di seguito, senza tregua fino a sprofondare a tradimento nelle impietose liste dei materiali, dei cibi, dei ricambi, come se la Storia si ricordasse della canotta e del pedalino.
Meglio, perché quella sera trascorsa tra bottiglie di vino e salumi al tagliere ha visto una tavolata di gente interessata a mettere in discussione una cosa sola: la propria incontentabile passione per le montagne. Ne è nato un dialogo ed un confronto sulle motivazioni dell'andare in montagna, con amici, con i figli, da solo. E abbiamo scoperto un amico, se possiamo dirlo, una persona interessante, con un bel mestiere presso l'azienda di famiglia, la Ande, ed una attitudine naturale per parlare dell'alpinismo con semplicità e coinvolgimento, di un alpinismo che è essenzialmente la sua esperienza. E non so voi, ma a me quando ci si trova a parlare dell'esperienza interessa sempre.
Certo Marco Anghileri è da tutti conosciuto come il primo salitore in solitaria invernale della Civetta per la Solleder, o per il concatenamento delle vie Vinatzer/Messner in Marmolada, Solleder in Civetta e Spigolo Nord Gilberti sull'Agner in 14 ore compresi i trasferimenti, ma già a 19 anni aveva fatto con Lorenzo Mazzoleni la prima ripetizione (invernale e in 4 giorni) della Via Marino Stenico alla Su Alto, e da lì in poi è tutto un indice di nomi e vie quasi sempre in solitaria e spesso d'inverno.
Eppure se in quella pseudointervista non si è precipitati nel profondissimo, noiosissimo abisso dei numeri, dei gradi e dei tempi è stato forse perché alla fine della favola le questioni più urgenti a tema erano altre: la nostalgia per un lungo sogno ormai realizzato, gli stimoli che pungolano le giornate, il valore di quello per cui si impegna la vita tutta, il desiderio di trasmettere e far conoscere il bello. Ecco Marco ci ha parlato di questo e molto altro, mentre di sottofondo trasmettevano De Gregori: Pablo è vivo.
Vivo, come ci si sente vivi quando arrivi in cima alla "tua" via d'inverno, proprio quella che hai avuto in mente per tanto tempo, o come quando arrivi in catena sul tuo primo 8a, o come quando dopo mesi che sei inchiodato fermo da un incidente, una sera decidi e così sul far della sera te ne vai da solo in cima al Resegone e ti siedi in punta a guardarti il sole accartocciarsi all'orizzonte, oppure come quando appeso da qualche parte in falesia con i tuoi allievi della Gamma ne vedi felice i progressi e il gusto che ne nasce. Momenti diversi, sensazioni diverse, ma uguale la soddisfazione, la gioia di vivere.
Questo è l'alpinista che ho conosciuto e che vi racconto: non è introverso, il suo sorriso ti toglie subito dall'imbarazzo di star di fronte a uno di quelli che vanno, abbiamo parlato di suo figlio nato da poco, ci siamo arrischiati nelle mille curiosità sul suo lavoro di produttore di abbigliamento e materiale da montagna.
Le sue solitarie non sono episodi da "grimpeur maudit", piuttosto sono una parte, piccola, di uno che non ha mai smarrito il piacere di andar per monti e di seguire il suo desiderio di felicità. A presto, ancora. Marco.
Fu, 25/01/2002