Alagna - Turlo - Val Quarazza - Rima - Mud - Alagna
Tra le valli del Monte Rosa, sulle tracce dei Walser
Tre giorni su e giù per i valichi dei Walser tra Valsesia, Val Quarazza e Val Sermenza
Località | Quota | Dislivello | Tempo Parziale | Tempo Totale |
---|---|---|---|---|
Pedemonte di Alagna | 1.215 | |||
Colle del Turlo | 2.730 | 1.515 | 5:00 | 5:00 |
Bivacco Lanti (pernotto) | 2.150 | -580 | 0:50 | 5:50 |
Colle del Piccolo Altare | 2.630 | 480 | 1:40 | 7:30 |
Rima (pernotto) | 1.420 | -1.210 | 1:15 | 8:45 |
Colle del Mud | 2.320 | 900 | 2:30 | 11:15 |
Rifugio Ferioli | 2.260 | -60 | 0:10 | 11:25 |
Pedemonte di Alagna | 1.215 | -1.045 | 1:50 | 13:15 |
I tempi sono indicativi e arrotondati in eccesso.
primo giorno
"Il bus navetta oggi non funziona. Solo il sabato e la domenica". È gentile ma categorico il gestore del bar al parcheggio di Pedemonte. Di portare la macchina fin su all'Acqua Bianca non se ne parla. 180.000 lire di multa (sicura) sono troppe. E comunque sono d'accordo: è giusto che in alcuni posti in auto non ci si arrivi, anche se c'è la strada. Ciononostante il fastidio di doversi fare i pochi kilometri a piedi sull'asfalto è grande. L'efficientismo milanese del massimo risultato con il minimo sforzo non siamo riusciti a scrollarcelo di dosso… Sono le 2 del pomeriggio e fa caldo. È un contrattempo che non ci voleva, ma tant'è...
Mangiamo qualcosa seduti sull'asfalto del parcheggio e sistemiamo gli zaini. Monguz calza gli scarponi; io memore dei canti alpini (sa smarcia mal sui marciape…) mi affido alle scarpe da ginnastica e appendo in qualche modo gli scarponi allo zaino.
Pochi passi e siamo già in un bagno di sudore. Il caldo ci mette alla prova non meno delle macchine autorizzate che continuano a superarci. Saremmo tentati di chiedere un passaggio, ma l'orgoglio spegne gli sguardi allusivi che ci scambiamo.
All'Acqua Bianca finalmente il sentiero. I cartelli indicatori di rifugi e sentieri ci introducono all'avventura attesa e desiderata da settimane nell'afa meneghina. Una famiglia scende dal "Pastore". Il padre porta la bimba più piccola in spalla nello zaino; si ferma e la toglie dall'impaccio del mezzo di trasporto e lei muove pochi passi circospetti. Fino a illuminarsi in viso all'arrivo dei due fratelli più grandi e della mamma; "Bello eh, Monguz? Prima o poi anche noi…".
Cominciamo a camminare con passo impreciso e interrotto, un po' svogliato. A pochi tornanti dall'inizio della mulattiera una timida traccia ammicca alla nostra destra. Dalla cartina sembra il tragitto più diretto all'Alpe Faller, ma non ci sono segni chiari; "Che ne dici, Monguz?". Recuperare un po' di tempo non ci fa schifo. Si va. Ma non è una scelta indolore. Tutte le volte che abbandoni un sentiero ampio e ben segnalato per una traccia che beh, sì…. potrebbe essere, ma… un tuffo allo stomaco ti prende. E se fosse sbagliato? Se fossimo costretti a tornare indietro, e se finisse d'improvviso in un burrone o in mezzo a una placca liscia o sotto una parete invalicabile…? Effettivamente il sentiero scende e la cosa non fa piacere. Ma è la nostra prima piccola avventura.. perché sottrarsi?
In realtà il sentiero è giusto e in breve si mette a salire… urca se sale! In poche decine di minuti siamo alla base del pascolo dell'alpeggio. L'Alpe Faller è là in cima e noi qui sotto.
Dobbiamo fermarci a mangiare qualcosa e a bere l'unico liquido di cui siamo provvisti: 7UP, una gigantesca nauseante bottiglia piena di 7UP tiepido, scelta da Monguz come borraccia per le qualità geometriche atte all'inserimento nello zaino - dice. Acqua ce ne sarebbe anche, ma le decine di vacche poco sopra non invitano a berla. Arsi dal sole e dalla bevanda dolciastra giungiamo finalmente a riprendere il sentiero per il Colle del Turlo.
La fatica si fa sentire e anche qualche crampo. Ma la montagna sterile aspra, quasi desertica, solcata dalla mulattiera è troppo affascinante. Come affascinante è percorrere questo sentiero largo e costante, in alcuni tratti perfino comodo. È impressionante immaginare la fatica degli alpini che lo costruirono, sasso su sasso a secco negli anni trenta. Doveva essere una via rapida e agevole per lo spostamento di armi e truppe, ricavata sul tracciato di uno degli antichi sentieri Walser più alti e importanti. Invece non fu mai utilizzato a fini bellici, ed è rimasto splendida testimonianza della caparbietà dell'uomo di montagna. Meglio così, in fondo.
Ci innalziamo dagli ultimi alpeggi verso il passo. La vegetazione è rada e bassa; in compenso aumenta a dismisura la fauna selvatica. I fischi allarmati delle marmotte sono continui, quasi non ci facciamo caso. Se non quando a pochi metri si rizza, più minacciosa che spaventata, una marmotta temeraria. Del resto questa è casa sua: gli intrusi siamo noi, e ancora oggi qui - forse per effetto della costituzione del Parco dell'Alta Valsesia, sicuramente per la fatica che si fa per arrivare fin quassù - gli uomini non fanno paura a questi piccoli animali.
Più impressionanti ancora, però sono gli stambecchi: prima qualcuno in avanscoperta ci scruta dall'alto, poi diventano un paio; infine un intero branco di una decina di capi ci guarda sfilare per nulla turbato da un pascolo a pochi metri dal sentiero. Sono animali possenti e agili e il solo pensiero di vedercene uno addosso ci convince a dare meno fastidio possibile.
Gli ultimi tornanti sono estenuanti: la fatica è tanta e i respiri affannati sono interrotti solo da poche parole rapide a commento delle molte iscrizioni e lapidi lasciate dagli alpini. Finalmente l'ultima curva ampia a destra che apre al colle: un fischio sordo e minaccioso ci accoglie. Alziamo lo sguardo e trasecoliamo: non più di un paio di metri sopra di noi, a sinistra, uno stambecco enorme (almeno così a noi sembra) sbuffa indispettito. "Cosa facciamo?" "E che ne so. Fermo, monguz, stai fermo...".
L'animale ci fissa: è veramente incazzato. Vorrei spiegargli che siamo amici, che ci piace la natura, che è un piacere incontrarlo quassù, come sta la famiglia? la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere...? ma né io ne monguz sappiamo lo stambecchese. Per fortuna lui si convince da sé che le due strane statue di sale colorate lì sotto sono innocue. Carica le zampe e in quattro salti scende da una sponda del colle e risale sull'altra.
Si sente la terra tremare, ma il pericolo è passato, tanto che l'animale, seguito da un suo compagno si mette a osservarci da distanza di sicurezza, e noi ci dedichiamo ai riti del caso: stretta di mano, saluto alla Madonna della cappelletta e autoscatto.
In breve siamo pronti a ripartire. Ci aspettano 600 metri circa di discesa che si snoda con serpentine continue ed estenuanti. Per superare pochi metri si percorrono due o tre tornanti, tanto che spesso ci troviamo a correre nel tentativo di perdere un po' di quota. Gli alpini però non avevo fretta e badavano piuttosto alla sicurezza del percorso.
Effettivamente superiamo bastionate di rocce impressionanti senza quasi accorgerci del dislivello e dopo molti kilometri (!?) in meno di un'ora siamo al bivacco Lanti. Altra sorpresa: c'è di tutto, locale cucina con fornello e bombola di gas, pentole, piatti, coperte, scorte varie. È già tardi e tanta grazia ci conforta. Cuciniamo e mangiamo abbondantemente.
Poco prima di addormentarci diventiamo spettacolo per tre cavalli al pascolo che ci osservano al tramonto, e quando è già notte per uno stambecco solitario (forse uno di quelli incontrati durante l'ascesa?) che sorvola letteralmente il bivacco e le nostre teste. Infine ci accolgono le brande comode per guidarci al nuovo giorno.
secondo giorno
La mattina seguente ci svegliamo con la prima luce. Ma le operazioni di preparazione - e la lauta colazione - ci costringono finalmente alla calma, dovuta alla bellezza in cui siamo immersi: l'accelerazione milanese non è che lo sbiadito ricordo di un'altra vita. Sistemiamo e ripuliamo tutto e siamo pronti a riabbracciare la nostra avventura.
Ripercorriamo brevemente il sentiero che ci aveva condotto al bivacco il giorno prima fino a staccarci decisamente a sinistra, verso il Colle del Piccolo Altare che ci sorveglia arcigno e lontano. Per pascoli e petraie, su tracce a volte certe, a volte immaginate, ci arrampichiamo verso di lui. I segnavia continui e alcuni ometti di pietre (tracce ostinate e simpatiche del passaggio di altre storie di uomini) ci guidano sicuri. Non c'è molto da filosofare: si tratta di salire decisi e continui fino al ghiaione terminale. Ed è qui che l'unica vera scarica di adrenalina di tutto il percorso ci si presenta. L'ultimo traversino verso sinistra è da fare con poche sicurezze e molta baldanza: la roccia è sbriciolata in sabbia a polvere mista a neve. Se cedesse, un bello scivolone di qualche decina di metri, fino al nevaio sottostante non ce lo leverebbe nessuno. Respiri profondi e passi felpati e sbuchiamo finalmente al vertice della valle di Rimmu.
Sotto di noi pascoli alpeggi e bastionate di roccia e a destra la sagoma imponente e perfetta del Tagliaferro. Mangiamo al riparo dal vento fuori dal bivacco Axerio al Colle del Piccolo Altare: al suo interno una rete sfondata e un pavimento che sembra cedere.
Ma anche una stufa di ghisa e addirittura della legna. Pare che nei prossimi anni lo vogliano sistemare; effettivamente, non avendo di meglio, ci si potrebbe anche rifugiare; ma non è che sia poi così ospitale e non c'è acqua nelle vicinanze. Possiamo riprendere a scendere lungo il terrapieno di sassi, più stretto di quello del giorno prima, ma che si snoda sicuro ed evidente fino a farci intravedere Rima.
Traversiamo alpeggi abitati da uomini con i bambini e da vacche e cani, che non sempre ci accolgono cordialmente. Costeggiamo a destra la grande bastionata rocciosa al centro della valle, dove pochi coraggiosi camosci si avventurano e finalmente, nell'afa della bassa quota, giungiamo alle prime baite di Rima. Entrati in paese ci informiamo per il pernottamento al posto tappa del GtA presso l'Albergo Tagliaferro. Ci sistemiamo sul tavolaccio comodo e pulito, ci diamo una lavata e siamo pronti per la messa vespertina. Nella bella chiesa, decorata con la sapienza dei maestri rimesi del marmo finto (alcuni sono arrivati fino a Sanpietroburgo con la loro arte) non siamo poi così pochi. Deve essere proprio vero che la bellezza del creato è segno eclatante di Dio…
Abbiamo appena il tempo di raccogliere le idee e i dati delle due giornate alle spalle e di compiere i "doveri sociali" proprio ineludibili: una telefonata alla morosa - sto bene, è tutto bellissimo, un bacio - e una telefonata di conferma del nuovo posto di lavoro che mi attenderà a settembre, ed è ora di cena. Niente di speciale, anzi. Mangiamo molto, per carità, al ristorante del Tagliaferro, ma la cucina alpina, raffinata e carica di storia del Ghiottone - che da Rima si è spostato a Vocca, rovinandosi - non è che un glorioso ricordo. Con noi al posto tappa del GtA, dormono due coppie di tedeschi attempati partiti dalla Val d'Ossola e diretti in 15 giorni a Quincinetto. Quando trovo di questi soggetti mi rendo conto di come sia possibile, per fortuna, seguire la bellezza della montagna per tutta la vita con un po' di volontà e tanto stupore.
terzo giorno
L'indomani è brutto: il cielo è coperto e una delle donne tedesche non sta bene: lei e suo marito si fermeranno qui per oggi. L'altra coppia ci seguirà nell'ascesa verso Alagna attraverso il Colle del Mud. Partiamo nell'aria umida e sorda, squassata di tanto in tanto da tuoni lontani. Percorriamo la variante Walser del GtA che anni fa avevo coperto in senso inverso, d'inverno, affondando nella neve fino alla cintola. Fu in quella occasione che portammo a termine una delle nostre "invernali" più memorabili, che si concluse (forzatamente, certo) con due giorni di libagioni al Ghiottone appena scoperto.
Attraversiamo altri alpeggi, in compagnia di greggi di capre poco numerosi, che ci abbandonano volentieri alla fine dei pascoli. Ci lasciano in compagnia della sagoma austera e perfetta del Tagliaferro. Il sentiero risale la morena a destra, parallela alla cresta est della grande montagna.
Ogni tanto targhe e tumuli in memoria di tanti amanti dell'Alpe ci ricordano come ogni attimo in fondo sia una grazia continua che il Buon Dio ci fa, di cui poter ringraziare.
I pochi arditi che incrociamo non ci confortano: sul colle e al di là il tempo è pessimo. Ma la cosa non ci spaventa, anzi per certi versi aspettiamo le sferzate dell'acquazzone come ulteriore prova allegra della nostra vitalità. Infatti - nemmeno il tempo di scollinare - e siamo battuti da scrosci e raffiche di vento. Il rifugio Ferioli non è lontano e un po' a memoria, un po' aguzzando la vista tra le gocce alla ricerca dei segnavia, lo intravediamo nella nebbia.
Non è più come lo ricordavo dall'ultima volte: le due baite sistemate alla bell'e meglio sono raddoppiate e sono completamente nuove. La sala da pranzo è calda e piena di altri temerari saliti da Alagna. Mangiamo polenta , carne e formaggi immersi nella nebbia e sommersi dall'acqua. In breve ci raggiunge anche la coppia superstite di tedeschi, più bagnati di noi, se possibile. Le testimonianze del libro del rifugio non lasciano dubbi: questo è un altro angolo dal tipico clima valsesiano: acqua, acqua e acqua. E tanto stupore per la bellezza appena intravista.
Dopo esserci rifocillati e asciugati al meglio siamo pronti per la discesa: prima guardinghi nella nebbia e sotto la pioggia che man mano si affievolisce; poi decisi coll'aprirsi del panorama sul Tagliaferro grondante acqua, ci buttiamo verso Alagna.
In breve la scorgiamo e con un po' di ritmo, nonostante il parere contrario dei legamenti delle ginocchia ormai piuttosto provati, la raggiungiamo. Ora fa caldo e il panorama si anima di figure di uomini e auto, gitanti della domenica che affollano il fondo valle per approfittare del breve sprazzo di sereno.
Ed ecco anche i due tedeschi, bagnati e oppressi dagli zaini mastodontici. Ci hanno già raccontato di dover raggiungere Sant'Antonio in Val Vogna… non sarà nella più pura etica del GtA, ma noi un passaggio in auto glielo offriamo volentieri. E loro accettano non meno volentieri. Li indirizziamo alla fine della deviazione di Pedemonte e noi traversiamo verso il parcheggio. Il tempo di cambiarci e siamo a raccoglierli. I loro sguardi esausti e grati ci accompagnano fino all'imbocco della valle, interrotti da brevi frasi in inglese e in orobico-tedesco di monguz.
Li salutiamo con un po' di invidia: avranno almeno un'altra settimana di spazi da percorrere e d'incanti da attraversare. Per noi invece è arrivata la fine. O forse e arrivato l'inizio del desiderio del prossimo incanto.
Alcune spiegazioni sulle classificazioni e sui voti
Periodo
Periodo
In che periodo è meglio andarci. ( L'iniziale della stagione: P, E, A, I )
Voto
È espresso in birre, da 1 a 5. Quante birre sareste disposti a pagare per andarci?
Difficoltà
La votazione è classificata con le seguenti voci: COMA, MOSCIO, BARZOTTO, DURO, CACIOPPO.
Con chiaro riferimento alle varie fasi della massima espressione di "valenza" dell'uomo!! E quindi anche dell'alpinista giovane dentro e brillante fuori, col ginger o il barbera nelle vene, a scelta.
Con chiaro riferimento alle varie fasi della massima espressione di "valenza" dell'uomo!! E quindi anche dell'alpinista giovane dentro e brillante fuori, col ginger o il barbera nelle vene, a scelta.
Area | Periodo | Difficoltà | Voto |
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Val Sesia VC |
E | barzotto/duro |
Mangia, 01/01/2001