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Ultima Thule. Il Luogo Ideale della mitologia, il punto più lontano, la meta di ogni viaggio. Come lo Shangri-la delle popolazioni Himalayane o la Valle Perduta dei Walser. Potrebbe essere anche solo la collina dietro casa. Ma per ognuno è il luogo dove si desidera tornare.
Noi veniamo di lì: thuler.

Miracolo in Valgrande

Un'avventura in Val Grande
ovvero "cose che capitano ad andar per monti in giorni d'alluvione"
racconto

Peñalara da metá cammino
Mangia Peñalara da metá cammino
-Di solito è così che si muore.-
Che scemenza!
Ma ricordo di aver pensato proprio questo, mentre la corrente gelida del torrente mi strappava le caviglie e mi cingeva in un abbraccio violento.
Poi ho pensato solo a tirare il fiato ed a cercare un appiglio.
Non è un gran che come frase storica ma in fondo sarei stato soltanto una delle molte vittime della terribile alluvione del 15 ottobre 2000 e nemmeno la più eroica. Forse, con irrispettosa ironia, qualcuno avrebbe detto:
-Quello se l'è proprio cercata!-
Vero.
Verissimo, eppure...
Eppure ancora adesso, dopo giorni, ripenso proprio a quegli istanti di grande tensione come al momento d'inizio di una strana magia. Cadere in quel torrente impazzito è stato come entrare nello specchio di Alice e vivere qualche ora in una nuova dimensione.

La gita non era stata esaltante, fino ad allora. Anzi, a pensarci bene era da rimproverarsi di essere partiti, con quel tempo orribile già venerdì, venerdì tredici, con quelle previsioni poi! Ma si sa come vanno le cose, questa volta non sarei andato da solo, il mio amico Ivano aveva preso ferie preziose, Alessio, il suo figlio intrepido di quindici anni, già gustava la vacanza fuori programma. Con qualsiasi tempo, si era detto e così si é fatto.
Per tre giorni abbiamo sguazzato nell'acqua che cadeva incessante, rendeva ruscelli i sentieri e, infilata dal vento nelle fessure, appesantiva gli zaini e gli scarponi. Abbiamo sempre più amputato il nostro programma, riducendoci infine a sperare di raggiungere una baita in Val Gabbio per fermarci lì a pescare le trote ed attendere tempi migliori. Per fortuna non abbiamo fatto neppure questo, perché i tempi migliori si sono fatti attendere molto a lungo e certo non c'erano le condizioni adatte per pescare. Già venerdì mattina i monti trasudavano acqua come spugne imbevute e della giornata di sabato ricordo quasi soltanto nebbia, pioggia e rumore. Il rumore assordante di mille cascate invisibili che ci costringeva a comunicare urlando anche da vicino.
Vista la situazione, abbiamo fatto il nostro campo base nel nuovissimo e confortevole bivacco della Colma di Premosello ed abbiamo affidato al calore provvidenziale della sua stufa il compito di asciugare ripetutamente le ossa, i vestiti e gli animi affranti. Siamo anche scesi in Val Grande ma ci hanno presto respinti i guadi impossibili all'Alpe Serena, in seguito abbiamo progettato di salire alla vicina vetta del Proman ma ci ha dissuaso la nebbia fitta. Domenica mattina infine, un ritorno di buon senso ed un certo presentimento ci hanno indotti a tornare a casa ed a partire presto anche se la discesa fino al posto dove abbiamo lasciato l'auto non richiede normalmente più di un paio d'ore. Ne avremmo impiegate molte, molte di più.

Scendevamo dunque rapidi e silenziosi, attenti a non scivolare, incuranti ormai di bagnarci. Tra poco sarebbe finita, addio sogni di faggi incendiati dall'autunno, addio speranze di torrenti pescosi, addio. Sarà per la prossima volta, noi passiamo e tu resti Val Grande.
Nemmeno a metà discesa, però, uno squarcio nella nebbia ha reso possibile uno sguardo sulla piana ossolana e ci ha fatto capire improvvisamente che la nostra avventura non stava finendo, anzi forse era ancora all'inizio. L'ampia valle era tutta un lago marrone, chiazzato di alberi e tetti. Un grande, unico fiume a guardar meglio. Poi di nuovo è tornata la nebbia. Siamo rimasti senza parole, un vero disastro! Ci siamo resi conto che non stavamo scendendo dai monti perigliosi verso la pianura tranquilla e sicura ma che proprio in basso c'era il rischio maggiore.
-Che danni, che alluvione, povera gente, chissà se ci sono morti.-
Questi pensieri altruistici sono stati presto spazzati via dalla preoccupazione per i guai nostri. Eravamo ormai vicini alla macchina e sapevamo che ci attendevano alcuni piccoli guadi e soprattutto l'ultimo, il più impegnativo. Già in salita ci avevano creato qualche difficoltà, figuriamoci ora. Presto, infatti, il sentiero s'è infilato in un gorgo ribollente, in un punto dove normalmente si passa senza pensarci, con due saltelli sui sassi. La prudenza ci ha consigliato di assicurarci con la corda prima di tentare il balzo. Fatto. Avevamo appena tirato il fiato ed ecco subito un passaggio impossibile, la traccia spariva nel bianco fragoroso e riemergeva molti metri più in là, irraggiungibile. Abbiamo iniziato la difficile ricerca di un passaggio abbordabile, un po' più su, un po' più giù. Finalmente ho visto Ivano che dal folto, molto più su, si sbracciava per chiamarci, l'aveva trovato. L'ho raggiunto: -Sei matto- gli ho detto. Lui insisteva: -Assicurami con la corda e passerò io.- Anche senza il frastuono dell'acqua è difficile far cambiare idea ad un montanaro friulano, perciò l'ho assecondato pur dubitando. Suo figlio lo guardava con affetto preoccupato mentre lo legavo alla meglio. Ho passato poi la corda attorno ad un albero sporgente sulla cascata e gli ho dato l'okkei. Un salto triplo da finale olimpica: è arrivato di là. Abbiamo tirato la corda come un passamano tra le due sponde: per Alessio, gli zaini e me, appesi ai moschettoni, è stato molto più facile.
Eravamo però fuori sentiero ed è iniziata subito la lotta coi rovi pungenti, le felci fradice ed i piccoli arbusti flessuosi che ti ricacciano indietro. Abbiamo risalito in ordine sparso una costa ripidissima e scivolosa, finché abbiamo trovato i resti di un alpeggio in rovina. Quei muri crollati, nella natura selvaggia, ci sono apparsi come un avamposto della civiltà. Infatti, poco più sotto abbiamo scoperto un illusorio segno di passaggio, che si infilava quasi verticale nel folto, verso il prossimo più profondo vallone. Dopo una precipitosa discesa, aggrappandoci agli arbusti, abbiamo ritrovato il nostro sentiero e una fugace fiducia poco prima del nuovo, inevitabile passaggio. L'illusione è durata due minuti e siamo arrivati al dunque. Lo spettacolo della forza dell'acqua che trionfava tra i macigni, rideva dai balzi di roccia e soffiava furiosa un pulviscolo lattiginoso nella stretta forra, ci ha riempito di ammirato stupore. Fermi in silenzio. Natura selvaggia e meravigliosa. Però dovevamo passare.
Io mi sono messo a studiare la dinamica dei gorghi, Ivano progettava ponti con tronchi introvabili, Alessio taceva senza mostrare paura, si fidava ancora ciecamente di noi. Dopo qualche tempo ho preso la decisione ed ho cercato di convincerli della bontà del mio piano: -Io ho fatto kayak e rafting- dicevo sicuro -conosco la forza dell'acqua, qui dove il flusso s'allarga e l'onda s'aggroviglia si può passare-. Mi sono dichiarato pronto a farlo per primo e questo li ha spinti a concedermi una possibilità di prova.
Così sono entrato nello specchio di Alice.
A mio onore va detto che ce l'ho quasi fatta e che, appena ripescato, sputato il liquido dai polmoni, ho voluto provarci di nuovo. Ad onore dei miei compagni va riconosciuta la tecnica quasi perfetta del non facile, duplice recupero.
-Qualcosa possiamo dire di averlo pescato!- diranno una volta al sicuro. A questo punto io mi sono arreso al freddo ed all'evidenza, ho costruito tra i rami una rudimentale tettoia e sotto il precario riparo di un telo mi sono messo addosso qualcosa di asciutto. Ivano nel frattempo lavorava già al suo progetto e dal bosco sentivo provenire strani colpi. Alessio lo aveva seguito senza scoraggiarsi, si fidava ancora ciecamente di lui. Un poco rinfrancato, dopo qualche tempo li ho raggiunti e ho visto il tenace friulano che cercava di abbattere un'alta betulla a colpi di piccozza. Naturalmente la cosa era senza speranza, ma lui ci provava convinto. Alessio lo guardava perplesso, incerto se fidarsi ancora di quel temerario.
Certamente quello avrebbe potuto essere il momento dello sconforto, eravamo stanchi, avevamo freddo e fame, non si vedevamo proprio vie d'uscita. Ma non lo è stato. Qualcosa di diverso era nato tra noi, una gioia di essere insieme, un senso di comune destino. E qualcosa di nuovo ci legava a questa natura terribile e potente ma non cattiva. Forse una strana, irragionevole fiducia.

E c'è stato il primo miracolo.
Era un miracolo in forma di trave.
Non sapendo più che fare abbiamo pensato di risalire al vecchio alpeggio, forse a cercare una sega, o un riparo, o che ne so...
Tu eri lì, unica integra nel desolante sfasciume.
Tu eri lì, lunghissima, pesantissima, preziosissima.
Tu dicevi ridendo: -Bentornati, sono io che vi occorro-.
Ci siamo caricati come il Cristo ed il Cireneo e ti abbiamo sottratta ad un destino di inutile decomposizione. Ci sei sembrata subito contenta di questo e, rotolando sul pascolo scosceso, strisciando nel folto intricato, ti sei fatta condurre docilmente al fiume, quasi senza fatica.
Ancora adesso ci penso e mi meraviglio. Cos'è che ci ha fatto trovare la trave?
Io credo un caso bizzarro, quel guado imprevisto, il sentiero perduto, la salita alla cieca tra i rovi. Quell'idea di tornare a cercare qualcosa. Sì, tutto ciò, ma una trave così non la incontri per caso. Giusta in peso, in forza, in misura.
Giusta.
In quell'ora un pensiero insensato mi frullava nel cuore, che la Natura ci aiuti o giochi forse con noi per farci capire qualcosa. Ma cosa?


E rieccoci al fiume.
Con un gioco di funi abbiamo calato la trave come un ponte levatoio tra due rocce sicure. Sotto, l'acqua correva come il getto di un idrante per poi lanciarsi in una profonda cascata. Abbiamo strisciato col culo, i piedi lambiti dal gorgo impetuoso, il respiro sospeso, il cuore gettato di là, la mente perduta nel precipizio.
Passo io!
Passano gli zaini!
Passa Alessio, batti un cinque!
Passa Ivano, batti un cinque!
Recuperata la corda, recuperata la trave, si va!
Abbiamo ripreso il sentiero, appesantiti dalla trave ma più leggeri nel cuore, con lei abbiamo passato altri guadi, tutti di slancio, ma non l'ultimo.
L'ultimo era troppo gonfio.
Questo maledetto guado si trova appena sotto l'Alpe Motta, poco dopo c'era la nostra auto, già in vista. Sembrava una beffa. Non ci volevamo arrendere senza lottare ed abbiamo ripreso la solita affannosa ricerca salendo e scendendo le rive impervie con poche speranze. Dopo lunghe ricerche, tra tanti passaggi impossibili ne abbiamo scelto uno, forse meno impossibile degli altri.
Prima di tentare abbiamo deciso di fermarci un po' dopo tante ore, mangiare qualcosa e pensarci meglio, non eravamo affatto tranquilli. Siamo risaliti all'alpeggio e ci siamo riparati sotto una bella tettoia per un pranzo improvvisato. Più passava il tempo più aumentavano i dubbi.

E qui c'è stato il secondo miracolo.
Era un miracolo in forma di uomo lontano.
Un uomo in quell'alpeggio isolato dal mondo. Non un alpinista, non uno del soccorso alpino, no, un uomo con l'ombrello e la tuta blu da meccanico. Ad aguzzare la vista, l'ombrello era tutto scassato e pure il personaggio appariva piuttosto malandato. Zoppicava vistosamente ed il volto era coperto da una barba bianca, lunga ed incolta come quella di un eremita. Si è fermato un attimo a guardarci dall'alto del pascolo e, senza un cenno, si è ritirato tra le baite più elevate dell'alpeggio. Noi ci siamo precipitati sulle sue tracce e l'abbiamo ritrovato in una baita tutta nera che sembrava una spelonca, appena scaldata da braci senza fumo. Era pure molto vecchio e privo di un occhio. Quanto appariva strano quell'uomo in quel posto! Ma noi, accecati dall'ansia del ritorno impossibile, gli abbiamo chiesto, quasi senza dire buongiorno: -Come si fa a passare il torrente?-
-C'è il ponte.-
Il ponte? Questo è scemo, che ponte? Oppure odia la gente e ci prende in giro, che ponte ci può essere se il sentiero finisce nell'acqua?
-Più in basso c'è il ponte.-
Ancora non crediamo ma perché non provare? Alessio è il più convinto, si è già fidato di due matti e di una trave, può fidarsi anche di sto vecchio bacucco.
Proviamo.
E il ponte c'è davvero, nascosto, non segnalato, serve un minuscolo sentiero ma è clamorosamente bello. Dritto e sicuro si beffa delle acque spumeggianti saltando alto sopra una forra. E ci ha condotto proprio sotto il piazzale dell'auto. La tensione si è stemperata in un abbraccio e ci ha commossi il sollievo per questo lieto fine imprevisto.
Un momento... e il vecchietto dell'alpe?
Io avrei voluto tornare su a dirgli almeno un grazie ma non l'ho nemmeno proposto. Sarà la stanchezza che tagliava la gambe, sarà che in fondo temevo di non trovare nessuno. C'era ancora quel pensiero bizzarro che abita ogni tanto nel cuore e mi diceva:
-Lascia stare, hai solo incontrato il tuo Angelo.-
Mica ci credo, ma se fosse vero, mi piace ricordarlo così, senza le ali, vecchio, orbo e pure sciancato. Si ripara dalla pioggia con un ombrello scassato e appare all'improvviso ad indicarmi la strada.



Pierluigi

Pierluigi, 24/10/2000