thuler.net
Ultima Thule. Il Luogo Ideale della mitologia, il punto più lontano, la meta di ogni viaggio. Come lo Shangri-la delle popolazioni Himalayane o la Valle Perduta dei Walser. Potrebbe essere anche solo la collina dietro casa. Ma per ognuno è il luogo dove si desidera tornare.
Noi veniamo di lì: thuler.

Gigi dall'Annapurna

Errando tra monti innevati
ho trovato la gioia
l'ho divisa con altri ed ero felice
la divido con voi e sarò felice.

Premessa

Credo che un diario, più che descrivere un itinerario o un luogo, serva a chi lo scrive per fissare attimi di quello che ha vissuto. Bello o brutto che sia, questo scritto è una piccola parte del bellissimo giro attorno all'Annapurna che ho effettuato con dei vecchi e nuovi amici con i quali ho condivise le gioie e le emozioni del paesaggio, dimenticando per un breve periodo le ansie e i controsensi del mondo.

Voglio anche aggiungere che sono sempre stato molto riservato e restio a far leggere le mie cose ad altri e solo grazie al forum dei thuler ho trovato e provato il piacere di leggere e far leggere le emozioni mie e dei thuler-amici.

Per cui un grosso grazie a tutti i thuler e…… spero di non annoiarvi troppo.

9 ottobre - martedì

ore18. Finalmente stiamo preparando i bagagli, anche se non è ancora del tutto certo che domani si riesca a partire.

Una serie di catastrofi ha messo a dura prova i nostri nervi e le nostre certezze, tanto che 3 partecipanti al viaggio non hanno retto ed hanno deciso di rinunciare. D'altronde, l'elenco degli ultimi 6 giorni giustifica in pieno le loro paure. Oltre agli ormai tristi fatti di un mese fa a New York, giovedì un missile ha abbattuto, sembra per errore, un aereo russo. Domenica la coalizione occidentale ha iniziato a bombardare in Afghanistan ed ha continuato per tutta la notte, insistendo anche nel pomeriggio di oggi. In Pakistan la situazione è molto tesa e le TV ci "bombardano" con immagini di guerra. Non bastasse tutto questo, lunedì mattina, a Linate, un incidente aereo provoca 118 vittime e a tutt'ora non si sa quando riaprirà l'aeroporto. Dicono che riaprirà domattina alle 6, ma non c'è niente di certo. Indovinate da dove dovremmo partire? Oggi martedì, sono precipitati due elicotteri e mi sembra ci sia stato pure un' incidente ferroviario. Credo che ce ne sia a sufficienza per giustificare timori e paure.

Forse perché, nonostante tutto, io sono un inguaribile ottimista, credo che se si riesce ad accantonare per un attimo l'emotività lasciando spazio alla ragione, fermo restando il dolore ed il rispetto per i morti, bisogna convenire che i fatti di questi ultimi giorni non sono altro che tragici incidenti e la statistica è dalla nostra parte.

Così, nonostante tutto, siamo pronti a partire, benché il pensiero corra alle vittime di N.Y., ai nuovi morti che ci saranno in Afghanistan e alle vittime di Linate, perché la vita deve continuare e deve avere il sopravvento sulla morte. Avremmo preferito giorni migliori, ma tant'è. Non sta a noi decidere.

10 ottobre - mercoledì

ore 10.30. Siamo a Roma. A Linate, tornato operativo stamane, c'erano talmente pochi partenti che siamo riusciti ad anticipare il volo. A Roma un piccolo inconveniente mi procura una certa incazzatura. Dato che a bordo dell'aereo ci sono due arabi o presunti tali, abbiamo dovuto attendere una decina di minuti, l'arrivo dei carabinieri prima di poter sbarcare. Probabilmente non era necessario nessun controllo, ma visto il clima di tensione che si respira ci può stare anche questo.

Mi hanno indispettito, però, i commenti dei giovani yuppies, tutti in rigorosa tenuta da yes-man berlusconiani in carriera (o in corriera), che si trovavano sul bus che ci ha condotto al terminal. L'idea che possano esistere degli arabi o degli extracomunitari in genere, che viaggino per lavoro, che siano persone oneste e che abbiano le nostre stesse paure e i nostri stessi timori, non li sfiora neanche. Per loro, ogni Arabo andrebbe fotografato prima e dopo ogni imbarco, anzi, in questo momento dovrebbero impedirgli di volare. E giù discorsi e sentenze, tutti di questo tenore.

" Dov'è la famosa e tanto decantata superiorità della cultura occidentale, culla di civiltà, tolleranza e rispetto per ogni diversità, così elogiata dal nostro premier?".
E' questo il mondo che vogliamo per il futuro?

11 ottobre - giovedì

ore 5,45 local time. Un leggero odore pungente di sandalo ed altri aromi, proveniente da tre file di persone assiepate davanti ai banchi dell'immigrazione ci dà il benvenuto e ci annuncia che siamo arrivati a Delhi. A conferma di tutto ciò, giunge il fragore di colossali "scatarrate" provenienti dai bagni e che suscitano la nostra ilarità.
Abbiamo già preso 3 voli ed ora siamo in attesa del 4° e finalmente ultimo che tra 5 ore ci scaricherà a Kathmandu.

Ore 22 circa. Finalmente in un letto. Sono circa 38 ore che sono in piedi, ma la gioia di essere tornato in questa città scaccia tutta la fatica. A domani, buonanotte.

12 e 13 ottobre - venerdì e sabato

Ieri e oggi, tutto il giorno a Kathmandu. Swayambunath, meglio noto come tempio delle scimmie, Durbar Square e Pashupatinath. Niente da segnalare, se non che è sempre bellissimo gironzolare in questa città. Il traffico è quanto di più caotico ci sia. Un ordine imperativo pervade tutti i possessori di mezzi su ruote :" SUONATE !!!". Il che produce una notevole cacofonia di suoni.

Clacson e campanelli di biciclette fanno a gara tra di loro in un crescendo irresistibile, invadendo le strade e i viottoli fino a provocarne l'intasamento. La circolazione, come per ricordarci i tempi del colonialismo, scorre a sinistra, finché può ed in alcuni casi i pedoni devono destreggiarsi tra un risciò e un paraurti mostrando doti acrobatiche insospettate. Non riuscirò mai a capire come in questo caos non avvengano incidenti.

In serata siamo stati a Boudha o Bodnath, che secondo me è il luogo più magico della città. All'imbrunire si riempie di Buddhisti e profughi Tibetani, che salgono al grande stupa per la Kora e le loro preghiere. Una moltitudine di persone si snoda in senso orario attorno al bianco stupa che piano piano si indora dei colori del tramonto, conferendo al luogo un aura magica che solo i grandi centri della fede possiedono.

Credo che la filosofia Buddista, non ponendosi in antitesi con le religioni del pianeta, abbia in se la più grande carica di pace e tolleranza che io conosca. Proprio quello che serve in questo momento.

14 ottobre - domenica

Finalmente oggi si parte per il trekking. O meglio oggi ci trasferiamo in bus nel villaggio di partenza del trek. Dopo un viaggio in pulmann di circa sette ore arriviamo a Besisahar, villaggetto incastonato tra i campi di riso posto a 820m di quota.

E' molto caldo, per cui la guida ci consiglia di partire abbastanza presto l'indomani.

15 ottobre - lunedì

Gli scarponcini scalpitano ed i piedi pure.

Dopo la sveglia alle 6, non vediamo l'ora di metterci in cammino, ma qualche intoppo con i carichi dei portatori ci rallenta. Sembra che il tanto atteso via non arrivi mai, ma finalmente alle 7,45 riusciamo a muoverci.

Iniziamo in discesa e capitiamo subito su un barcollante ponticello di bambù che superiamo timorosi. Poco dopo troviamo altri ponti sospesi, decisamente in migliori condizioni che superiamo agevolmente. Li avevamo visti tante volte in pubblicità che il solo fatto di attraversarli ci fa sentire un po' Indiana Jones.

L'ambiente, anche a causa della quota molto bassa, presenta spiccate caratteristiche di foresta tropicale. Vegetazione lussureggiante lascia il posto qua e là a coltivazioni di riso, che risalgono a terrazza le ripide fiancate della valle del fiume Marsyiangdi, fino a quote ben più elevate e che danno almeno tre raccolti l'anno. Mandarini e banani si distinguono per i loro frutti e per le larghe foglie tra il resto della vegetazione.

L'ultima cosa che ci viene da pensare è che stiamo andando verso le montagne più alte del pianeta. Ogni tanto incontriamo delle casupole abitate da gente dedita per lo più ad una vita rurale. Prevale un'agricoltura di sussistenza, attuata con mezzi poverissimi soprattutto dalle donne, che garantisce lo stretto indispensabile per il fabbisogno familiare.

Una carovana di asini ci viene incontro, percorrendo l'unica mulattiera della valle. Da qui in poi tutto quello che serve viene trasportato dagli animali, ma soprattutto dai nepalesi, che sono una razza china sotto carichi enormi, separata dal suolo quasi sempre, solo da un paio di ciabattine infradito.

Dopo una sosta a Ngadi (936m), alle 13,40 riprendiamo il cammino e dopo un paio d'ore raggiungiamo il villaggio di Bahundanda, posto in cima a un collina a quota 1310m

16 ottobre - martedì

Sveglia alle 6, assecondando il sole che nasce, e partenza alle 7,10 con destinazione Tal (1700m).

Dopo essere scesi per circa 200m fino al fiume, la strada prosegue nello stesso ambiente di ieri.

Incrociamo dei greggi di caprette abbastanza numerosi con i quali ci contendiamo il ristretto spazio per l'attraversamento di un ponte. Incontriamo anche delle persone che scendono a valle con dei polli sottobraccio o altri piccoli animali da cortile.

In questi giorni inizia il Dasein, una delle principali feste nepalesi che dura una decina di giorni, durante i quali vengono effettuati numerosi sacrifici animali per ingraziarsi i favori degli dei induisti.
A noi occidentali tutto ciò sembra crudele e terribile, ma ogni religione ha i propri riti, che sarebbe errato giudicare frettolosamente senza entrare nella cultura che li ha generati.

Il sole, ormai alto nel cielo, ci delizia anche oggi dei suoi caldi raggi e ci accompagna in un tragitto fattosi a saliscendi, che presenta dei tratti abbastanza ripidi.

Alle 11,30 io Adriano, Mauro e Giancarlo siamo a Chamje, dove è prevista la pausa pranzo e dove mi rendo conto che noi, probabilmente i più forti fisicamente, non dobbiamo fare una corsa separata ma saper adeguarci alle esigenze e godere delle opportunità che ci offre il gruppo. Dopo parecchio tempo, arriva Franco che solo grazie all'aiuto di Patrizia e di altri componenti del gruppo riesce a superare una forte crisi di crampi.

Ora ci aspettano altri 200 m in discesa e poi 600m in salita, ma restando tutti in compagnia anche Franco riesce a superare i suoi problemi.

17 ottobre - mercoledì

La tappa di oggi si snoda da Tal a Chame (2670 m). Sulla carta sono circa 1000 metri di dislivello, ma ben presto ci rendiamo conto che i continui saliscendi aggiungeranno almeno altri 400 metri di salita al percorso, che però oltre ad essere abbastanza lungo si rivela anche molto bello.

Usciti da Tal, bel villaggio in stile tibetano con le case disposte ai lati dell'unica via che lo attraversa, seguiamo il percorso del fiume attraversandolo più volte sugli ormai famosi ponti sospesi. La nostra attenzione viene ben presto attirata dalle "erbacce " circostanti che crescono rigogliose al punto da divenire quasi infestanti. Trattasi di Cannabis Sativa che ben presto rigonfierà le nostre tasche, con fini più o meno nobili.

Verso mezzogiorno, consueta sosta pranzo a Danagyu, dopodiché ci addentriamo in una foresta umida, con alberi ricoperti di muschi, licheni e numerose piante epifite che conferiscono al tutto un tono abbastanza spettrale.

Ci troviamo un centinaio di metri sopra il corso del fiume, che ora ha assunto le caratteristiche di un grosso ed impetuoso torrente. La portata d'acqua è notevole e non oso neanche immaginare come possano diventare queste acque durante la stagione monsonica. La vallata si è notevolmente ristretta e davanti a noi ci sono pareti ripidissime. Frane immense hanno ferito ai fianchi questi colossi di pietra, riempiendo il torrente di giganteschi massi.

Peccato che il tempo si stia mettendo al brutto e ci lasci solo intravedere le possenti cime che si mostrano a noi con qualche fugace apparizione, approfittando del momentaneo spazio lasciato da qualche squarcio di nubi.

Siamo a circa 2500 metri e possiamo solo immaginare di essere circondati da pareti rocciose che vanno su oltre le nuvole per altri 4/5000 metri. Raggiungiamo la nostra meta mentre una leggera pioggerellina scende su di noi, stanchi ma felici di quello che i nostri occhi hanno visto.

18 ottobre - giovedì

Lasciamo Chame alle 7,10. La notte ha provveduto ad asciugare le nuvole ed il cielo è completamente sereno. Credo che gli Dei ci amino. D'altronde siamo veramente un bel gruppo.

All'uscita dalla camera ci sorprende e ci toglie il fiato la massa innevata del Lamjung Himal che con i suoi 6932 è la prima grande montagna che si mostra a noi.

Ci dirigiamo a nord-ovest e subito scorgiamo le cime dell'Annapurna IV (7525m) e dell'Annapurna II (7939m) che ci accompagneranno per tutta la giornata regalandoci delle visioni impagabili.

Ci troviamo a controllare sulle carte le cime e le altezze dei monti che ci appaiono, ma siamo consci che tutto questo conta ben poco. Tutto è così maestoso ed immenso e noi siamo solo un puntino in fondo alla valle.

Man mano che proseguiamo la valle si fa più ampia ed alzandoci di quota, siamo attorno ai 3000, l'ambiente diventa prettamente "alpino". Foreste di conifere hanno preso il posto della vegetazione precedente e cespugli profumatissimi di piracanta fanno da sottobosco e costeggiano il sentiero.

Dopo circa 4ore e mezza facciamo sosta a Dhukure Pokhari per poi ripartire alla volta di Pisang (m3200).
Prima di avvistare il villaggio, il nostro sguardo viene ancora una volta rapito dall'imponenza e dalla bellezza dell'Annapurna II, che ci stupisce per la sua altezza.

" Cercavo la cima tra le nubi, ma non la trovavo, quando alzando ulteriormente lo sguardo oltre al ragionevole, essa mi appariva ben più in alto di esse".

Era come se, per ribadire la propria grandezza, essa levitasse staccandosi dal terreno. Togliamo lo sguardo a fatica da tanta magnificenza e dopo una decina di minuti, scorgiamo sulla sinistra del torrente, le case ed il sovrastante monastero di Pisang alta, un centinaio di metri sopra il nuovo villaggio di Pisang.

Raggiungiamo il lodge alle 14 e dopo aver lasciato i bagagli andiamo subito al vecchio villaggio che è tutt'ora abitato. La gente è sempre molto cordiale e basta poco per allacciare dei contatti.

Il nuovo monastero è in costruzione da un paio di anni e la popolazione presta la propria manodopera a titolo gratuito. Ci invitano ad entrare nell'edificio in costruzione da una scala posta sul tetto e ci spiegano tutte le fasi di lavorazione, orgogliosi a pieno titolo del lavoro eseguito.
La costruzione è in legno e pietra ed è costruita con mirabile maestria, con alcuni intagli che sono delle vere opere d'arte. Ci lasciamo con la promessa speranza di rincontrarci tra un paio d'anni, quando i lavori saranno terminati ed i monaci torneranno a dare vita al monastero.

19 ottobre - venerdì

Un gran numero di segni della presenza Buddista-Tibetana costella la strada di oggi.
Muri-mani con le loro pietre che portano incisi i mantra buddisti, muri che sorreggono numerosi rotoli di preghiera, da far ruotare in senso orario per mandare le preghiere agli Dei e bandiere di preghiera che lasciano al vento questo compito, ci indicano che la religione induista, diffusa maggiormente nelle valli basse ha lasciato il posto al buddhismo e che da qui in avanti la popolazione è prevalentemente di origine tibetana.

Poco dopo Pisang, risaliamo un bel bosco di conifere ed arriviamo ad un passo da cui si scorge l'altopiano che ospita il maggior centro del distretto, Manang posta a 3550 metri.

In primo piano scorgiamo la pista del piccolo aeroporto di Onge (circa 3300 metri), utilizzato soprattutto per le emergenze e che sembra molto più vicino di quanto non sia in realtà.

Ormai anche gli alberi sono più diradati ed hanno assunto le caratteristiche tipiche ed il nanismo degli arbusti d'alta quota. La quantità di polvere che si solleva al semplice passaggio, ci indica che in questa zona piove molto raramente, cosa confermata anche dai tetti piatti delle case.

L'Annapurna II e IV lasciano il posto, man mano che ci avviciniamo a Manang, all'Annapurna III, m7555 e alla Gangapurna m7454 che spinge la sua impressionante lingua di ghiaccio fino a poche centinaia di metri sopra alla cittadina.

Tutto il distretto di Manang conta circa 6000 abitanti che godono di particolari privilegi commerciali. Essi possono una volta nella vita recarsi all'estero per fare acquisti, totalmente esentati da dazi e tasse. Ciò ha reso gli abitanti degli abili commercianti e non è raro vedere gente che unisce agli abiti tradizionali giubbotti di pelle o jeans firmati.

Nel paese si trova un po' di tutto e ci sono addirittura un paio di locali che proiettano film in videocassetta, vera e stravagante passione dei Mananghesi.

20 ottobre - sabato

Giornata di acclimatamento a Manang.
Tempo stupendo e temperatura diurna più che accettabile.

La mattina, con parte del gruppo, salgo a vedere il ghiacciaio della Gangapurna ed il laghetto che questo forma alla base della morena.

Arriviamo fino a circa 3800 metri, poi la mia attenzione è catturata da un piccolo monastero che sorge un po' più in alto, arroccato su una cengia della parete opposta a noi. Scendo in paese ed incontrata Patrizia decidiamo di andarci nel pomeriggio.

Il monastero si chiama Thakgen Gompha ed è abbarbicato a circa 3900 metri di quota.
Lo raggiungiamo dopo aver goduto dell' immenso spettacolo offertoci da un pianoro aperto sulle montagne, posto appena sotto di esso. Aperto il cancelletto ci estasia e stupisce un ricchissimo giardino fiorito, nel quale anche gli uccellini sembrano non temere la nostra presenza. Invitati dai gesti di una giovane, avanziamo ed entriamo in quello che, più che un monastero, è un antro roccioso chiuso per due lati da murature.

All'interno, un piccolo locale adibito a tempio, con una finestrella posta alla destra dell'ingresso, che lascia filtrare una lama di luce che dà alla scena un aspetto mistico. Sulle pareti, nella penombra, degli antichi tangka e sul lato sinistro tutti gli strumenti musicali necessari per le cerimonie. Al centro della parete frontale è ricavato un altarino con alcune divinità del panteon buddhista e sotto di questo si trovano le offerte per gli Dei. In alto a sinistra si scorge a fatica, avvolto nel suo telo ormai logoro un antico testo sacro. Una vecchina ci invita ad accomodarci su una panca, alla sinistra dell' ingresso.

Di fronte a noi, seduto per terra dietro un basso tavolino, scorgiamo il monaco, investito dalla lama di luce che entra dalla finestrella. Sembra un personaggio uscito da un racconto fantastico. Avvolto nel suo mantello rosso, ci sorride, mostrando tutte le rughe del suo vecchio viso tibetano. Due occhietti vispi ed un accenno di barbetta a cui non è bastata una vita per decidersi a crescere, incorniciano un sorriso ormai sdentato. Un berretto conico rosso bordeaux, indice della setta di appartenenza, con due stole laterali bordate in oro che scendono fino a terra, racchiude il tutto ed infonde simpatia.

Il monaco e la vecchina, non spiaccicano una parola di inglese, ma è incredibile come sia facile comprendersi. Parliamo, non so nemmeno io in quale lingua per svariati minuti, poi a cenni il monaco ci invita ad avvicinarci ed esegue una piccola cerimonia che ci dice essere di augurio e di protezione per il superamento del Thorong-La pass. Anche la vecchina non vuole essere da meno e pur non essendo monaca ci dona anche la sua benedizione. Nel frattempo sopraggiunge la giovane ragazza con due tazze di tè fumanti.

Continuiamo a chiacchierare e veniamo a saper che lì vivono in quattro e che i due vegliardi hanno rispettivamente 85 ed 84 anni. Parliamo un po' del Tibet e citiamo i nomi di alcuni luoghi e monasteri che abbiamo visitato per conto della nostra associazione ed i loro occhi si illuminano e diventano umidi. Chissà quali ricordi sono stati rievocati e quante storie potrebbero raccontarci se solo non ci fosse la barriera della lingua.

L' altare è contornato da centinaia di fotografie di trekkers e gente che è arrivata fino a questo luogo remoto. Come per una strana coincidenza ci ritroviamo ad avere in tasca due nostre fototessera che aggiungiamo alla lunga galleria fotografica. Ci accomiatiamo da questi amici e da questo luogo speciale, rientrando a Manang indorati dal sole della sera, che di fronte a noi, va a nascondersi dietro al monte per riprendere l'indomani il suo ciclo di rinascite.

21 ottobre - domenica

La tappa di oggi è abbastanza corta e ci consente di raggiungere i 4200 metri di Letdar in un tempo relativamente breve. Cominciamo a pensare alla fatidica tappa del passo e dosiamo le forze in previsione di essa.

Arriviamo nel primo pomeriggio dell'ennesima splendida giornata di sole e mentre il resto del gruppo si abbandona al piacere dell'ozio, io ed Adriano saliamo ancora un po' di quota tra cespugli colorati dalla tavolozza autunnale.

Chiacchierando chiacchierando, superiamo senza nessuna fatica i 4400 e ci spunta un sorriso al pensiero che sulle nostre Alpi saremmo in vetta a quasi tutta la catena, mentre qui siamo solo a metà strada.
Torniamo da quel gruppo, che solo fino a pochi giorni fa era di
semisconosciuti che ora senza ombra di dubbio possiamo chiamare amici.
Ci rallegriamo del fatto che stiamo tutti bene, o quasi, ma in ogni caso qualche piccola dissenteria non riesce ad intaccare il morale della truppa.

22 ottobre - lunedì

Anche se la distanza non è molta, oggi dobbiamo affrontare la salita più ripida del trekking. Gli ultimi 400 metri che ci condurranno all' High Camp sono veramente tosti, ma la bellissima giornata e lo spirito di gruppo ce li fanno superare alla grande.

Prima di mezzogiorno siamo a destinazione su quella che potrebbe essere la vetta del Monte Bianco, ma che in realtà è solo il luogo dove passeremo la notte.

Nel pomeriggio passeggio solitario e ascolto solo il solo rumore dei miei pensieri, dolce sottofondo che mi conduce fino a 5000 metri.

Sono veramente felice di essere qui e mentalmente ringrazio Patrizia, che mi ha contagiato con il suo immenso amore per le montagne e per l'himalaya. Se non avessi incontrato lei sul mio cammino, probabilmente oggi non sarei qui, ma anche questo non si può dire con certezza, perché il destino con i suoi incontri solo apparentemente occasionali, ci riserva sempre delle sorprese.

In questo filosofeggiare, dovuto probabilmente all'aria sottile della quota, mi ritrovo da solo e mi vedo veramente piccolo piccolo. Uno sguardo attorno e mi sento poco più di un granello di sabbia che in qualsiasi momento potrebbe scivolare verso il fondo dell'imbuto creato dalle morene che mi circondano a semicerchio. Sono sospeso su un piano inclinato con almeno un migliaio di metri sia sotto che sopra di me. Ma non sono per niente angosciato.

23 ottobre - martedì

Oggi è la giornata cruciale del trekking, con il superamento del tanto atteso Thorong-La pass a metri 5418, che come dice la carta è il "biggest pass in the world". Chissà cosa intendono. Dire che temiamo questa tappa sarebbe un esagerazione, ma il dislivello in discesa che ci attende dopo il valico qualche apprensione la crea.

Sono le quattro del mattino quando suona la sveglia. Il momento è arrivato. Usciamo dalla camera e una magnifica stellata ci accoglie nel freddo della notte. Un tè bollente ci riscalda e ci strappa dall'ultimo torpore e verso le cinque una
lunga fila di lucine si inerpica per il ripido sentierino e si appresta ad incontrare il nuovo giorno.

La luce dell'aurora
prende il posto delle pile frontali e il sipario del nuovo giorno si alza lentamente. Da dietro il gruppo dei Cholu, fa la sua comparsa ed entra in scena anche il sole, gradito ospite nel freddo del mattino. Avanziamo lentamente, su una salita costante fattasi meno ripida che si addentra verso un' ampissima sella.

Cominciamo a comprendere il significato di "biggest". L'aria è sempre più rarefatta e il respiro a volte si fa affannoso. Qualche piccola crisi viene superata con
l'aiuto del gruppo e procediamo verso quel passo che sembra non arrivare mai. Non so quante volte abbiamo cullato l'illusione di essere alla meta, vedendola svanire sul colmo dell'ennesimo dosso. Verso le otto, illuminati dai raggi solari, siamo finalmente al Thorong-La.

L'emozione è fortissima, ci abbracciamo calorosamente ed un pianto liberatorio
allevia la tensione accumulata e sancisce la nostra amicizia. Qualsiasi cosa succederà da qui in avanti, non mi potrò più scordare dei miei compagni di viaggio. Officiamo le nostre offerte agli Dei della montagna, appendendo le bandiere di preghiera che Pat ha portato apposta dal Tibet, bruciando gli incensi e lasciando del riso come da tradizione.

Aspettiamo l'arrivo di tutti i portatori per condividere anche con loro questo momento, perché se siamo arrivati fin qui è anche merito di questi ragazzi. Scattiamo le foto di rito ed iniziamo la lunga discesa verso Muktinath. Abbiamo davanti un bel salto di 1600 metri, con tratti abbastanza ripidi che però ci permettono di perdere quota rapidamente.

Muktinath è una città santa, meta di pellegrinaggi sia per gli Induisti sia per i Buddhisti con un grande centro monastico in cui le due religioni convivono armoniosamente e che ha stupito più di uno dei grandi esploratori dei tempi passati. E' un vero peccato non potersi fermare qualche giorno in più.

24 ottobre - mercoledì

Mi sveglio con una percezione strana. Avverto come un senso di rilassatezza ed un forte calo di tensione, come se la tappa di ieri abbia significato la conclusione del viaggio. Ho paura che da qui in avanti tutto sia meno interessante, e l'aver conseguito l'obbiettivo del passo abbia appagato le nostre attese.

Usciamo da Muktinath nel fresco mattino e bastano pochi passi per farmi ricredere su quanto detto e fugare tutte le paure. Lo scenario offertoci dalla natura, mi dice che questa sarà una delle più belle tappe del viaggio.

Un amico mi aveva parlato della bellezza dell'autunno himalayano e constato piacevolmente che aveva ragione. E' uno spettacolo nello spettacolo. I raggi del sole indorano di un colore caldo i pochi alberi presenti, facendoli risplendere nelle mille sfumature dei colori autunnali. Racchiusi da numerosi muretti a secco, i campi di orzo mietuti di fresco mostrano tutte le tonalità dall'oro al marrone mescolandosi con i grigi e gli ocra del terreno.

Superiamo un antico villaggio con i suoi abitanti dediti alle attività quotidiane che rievocano atavici ricordi di un mondo contadino di inizio secolo che noi abbiamo conosciuto solo dai racconti dei nonni. E' così che cose semplici come il separare il riso o l'orzo dalle bucce e lo sgranare il mais, ci incuriosiscono e catturano la nostra attenzione.

Passato Jharkot, l'ambiente agreste si fa più severo, i ruscelletti scompaiono precipitando in una profonda spaccatura e si apre di fronte a noi uno scenario totalmente diverso da quello che abbiamo avuto fin qui. E' come se iniziassimo un viaggio nuovo.

Maestose pareti aridissime, solcate da antichi tracciati e venature che farebbero la felicità di un geologo, attorniano la nostra via, che scende fra distese sabbiose multicolori. Davanti a noi si stagliano nel cielo blu le pareti del Mustang, il fantastico regno di Lo, luogo ancor oggi mitico ed inaccessibile ai più, anche a causa delle salatissime tasse che bisogna pagare per entrarvi.

Ci stiamo dirigendo verso Kagbeni, che è considerata la porta nepalese di accesso a questo luogo misterioso. Spero un giorno di poterla varcare. Lungo il cammino incontriamo numerosi pellegrini che a piedi o a cavallo salgono, provenendo anche dall'India, a Muktinath.

Kagbeni sorge quasi sul greto della Kali Ghandaki, il fiume che esce dal Mustang e che proseguendo in direzione sud, diventerà la nostra strada per qualche giorno. Attualmente è in regime di magra e il fiume è veramente poca cosa, ma il suo greto è ampissimo e sulle pareti si può notare dove può arrivare il livello dell' acqua in altri momenti. La guida ci avvisa che il pomeriggio si alza sempre un forte vento che soffierà costantemente in direzione opposta al nostro cammino.

Seguendo il fiume giungiamo a Jomosom a pomeriggio inoltrato e dopo tanto tempo rivediamo un mezzo con le ruote: una bicicletta sulla quale pedala allegramente una ragazzina. Vediamo anche un paio di trattori, portati fin qui con gli elicotteri quando hanno costruito l'aeroporto che in condizioni di bel tempo collega questo grosso centro con la città di Pokhara.

Complice un compleanno, in serata, ci abbandoniamo ai bagordi cosicché andiamo a dormire tutti un po' ubriachi ma immensamente felici.

25 ottobre - giovedì

Stamane, per la prima volta, partiamo con il cielo nuvoloso. Ma non c'è disappunto in noi, siamo consapevoli di quello che ci è stato concesso fino ad ora e ci riteniamo molto fortunati. Il tempo sempre sereno ed un bellissimo gruppo hanno consentito di trascorrere una bellissima esperienza.

Proseguiamo lungo la Kali Ghandaki e superiamo i bei villaggi di Marpha, Tukuche e Larjung.

Manca totalmente la parte alta del paesaggio e solo l'immaginazione e la topografia ci fanno intuire sopra le nuvole l'imponente mole dell' Annapurna I che con i sui 8081 metri è la cima più alta del gruppo. Di fronte ad essa e dietro di noi si nasconde il Dhaulagiri, altro gigante di quasi 8200 metri che si erge solitario come una sentinella di pietra. Durante il percorso l'ambiente muta ulteriormente ed i boschi di conifera ritornano a rivestire i pendii montuosi.

Dopo una lunga marcia arriviamo finalmente a Kalopani (m2530) mentre inizia ad imbrunire ed il cielo sembra ancora più cupo. Il vento la distanza ed il cielo plumbeo hanno reso il tragitto abbastanza duro ed anche un po' noioso. Fa freddo e l'umidità rende ancora più rigido il clima. Ma una bella sorpresa ci attende all'interno della locanda che ci accoglie.

Sotto il tavolone, dove ci raduniamo per la cena, arde un braciere che oltre ai piedi ci riscalda anche l'animo.

26 ottobre - venerdì

Anche stamattina, inaspettatamente risplende il sole. Prevedevamo di arrivare a Tatopani (1190m) abbastanza agevolmente, visto che era tutta discesa, ma alcuni saliscendi e dei tratti veramente ripidi hanno messo a dura prova le nostre articolazioni.

Sto scoprendo che le tappe più impegnative sono quelle che stiamo affrontando in questi giorni e non quelle di montagna. L'ambiente segue l'altimetria e man mano che scendiamo si trasforma in foresta, con zone terrazzate a riso e miglio. La Kali Ghandaki, che fino a ieri scorreva in un greto largo anche trecento metri, è mutata in un impetuoso torrente montano che precipita con salti e cascate sul fondo di una stretta valle. Anche oggi camminiamo per più di venti chilometri e raggiungiamo la nostra meta dopo le quattro.

Tatopani non è granché, nonostante sia un luogo di villeggiatura per i pochi nepalesi che se la possono permettere. Ci sono delle sorgenti di acqua termale che non sono altro che un paio di vasche in riva al fiume, a cui si accede da un diroccato sentierino in cui prevale l'odore nauseabondo del piscio di mulo.

La via principale, attraversa il paesino ed è lastricata in beola per tutti i suoi duecento metri di lunghezza. Ai suoi lati qualche gioielleria, dei negozietti di oggetti fintoantichi ed alcuni lodge che di pretenzioso hanno solo il nome.

27 ottobre - sabato

Sveglia all'alba e partenza di buonora perché la salita a Ghorepani si prospetta lunga ed impegnativa. Ai teorici 1650 metri di dislivello che ci porteranno ai 2850 del villaggio vanno subito aggiunti trecento metri, che percorriamo in discesa per attraversare il fiume.

Risaliamo il pendio opposto per una ripida scalinata che ci impegna per un'oretta e mezza. Sbuchiamo al sole e davanti a noi si apre una vallata terrazzata a riso ed orzo. La giornata è splendida e Il Dhaulagiri e l'Annapurna sud osservano dall'alto il nostro incedere.

Dopo un tratto abbastanza tranquillo il sentiero riprende a salire bruscamente e si inoltra in un bosco di rododendri alti decine di metri. Peccato non sia la stagione della fioritura. Deve essere un vero spettacolo l'unione del blu cielo con il rosso fiore e il bianco neve. I licheni che pendono dai grossi rami rendono il bosco un po' spettrale e ci si aspetta di veder spuntare uno gnomo da un momento all'altro.

Perso nei miei pensieri arrivo alla fine del bosco senza quasi accorgermene superando anche gli ultimi gradoni a grandi passi. Non so se il perdersi nei pensieri aiuti a superare la fatica o se sia la fatica che aiuta a pensare. In ogni caso sono due belle sensazioni. Davanti a me c'è l'ultima gradinata e vedo ormai gli alberghetti di Ghorepani.

Li raggiungo e mi siedo sui gradini ad aspettare gli altri soddisfatto e stupito per come sono salito in fretta.

28 ottobre - domenica

Di fronte al nostro albergo, posto proprio sul passo, parte il sentiero che porta alla collina di Poon Hill. In silenzio una lunga processione sale nella notte che muore, per attendere la nascita del giorno. Il freddo del mattino è pungente, ma il caldo colore della luce che lentamente scende dalle cime più alte fino a giungere a noi annulla qualsiasi problema.

Che strano chiamare collina un posto alto 3250 metri. Poon Hill è un luogo privilegiato da cui si può ammirare lo spettacolo del sorgere del sole circondati da una corona di cime, tra cui il Dhaulagiri, l'Annapurna I, l'Annapurna Sud e quella bellissima montagna che è il Macchapucchare.
Da solo, questo spettacolo ricompensa ampiamente la fatica di ieri e la levataccia di oggi.

Ora ho la percezione che il viaggio sia proprio finito. Le due giornate che mancano per raggiungere Pokhara non potranno aggiungere altro a quello che ho condiviso fin qui con i miei amici. Il ricordo di questo giro si è impresso in maniera indelebile nel mio cuore e sento che il ritorno alla quotidianità non sarà tanto traumatico, perché torno con un'accresciuta ricchezza interiore. Una voce che mi chiama mi strappa dal mio pensare.

E' ora di scendere, perché anche oggi il percorso è lungo e Bhirethani lontana. Saluto le montagne e mi incammino per l'ultima discesa. Fuori dal paese entriamo in un bosco, dove una famiglia di scimmie urlando, attraversa il percorso saltando da un ramo all'altro sopra di noi. A metà strada iniziamo a scendere per una ripida scalinata di pietra, sotto un sole rovente. Sembra non finire più. La scala attraversa il paese di Ulleri e prosegue a tornanti scendendo fino al fiume. Ci dicono sia fatta da circa 2800
gradini e copra un dislivello di 850 metri.

Le ginocchia confermano tutto ciò e a Bhirethani manca ancora un bel po'. Arriviamo al paese, ancora una volta stanchi, ma oggi è stata proprio l'ultima fatica. Domani dovremo camminare solo una mezz'oretta per raggiungere la strada.

Poi con un autobus raggiungeremo Pokhara e rientreremo nel caos del traffico.

Giorni seguenti

Un diario che si rispetti dovrebbe narrare fino in fondo le vicende accadute. Avrei dovuto dirvi dei chilometri, del dislivello totale e dei cinque giorni restanti, ma questo ha poca importanza, perché come ho già anticipato per me il viaggio è terminato a Poon Hill.

Ora non mi resta che ringraziare voi che avete avuto la pazienza di leggere queste righe che non hanno nessuna pretesa se non quella di invogliare qualcuno a ripercorrere questo giro.

Ciao da chi ha appena iniziato a viaggiare e spera di poter continuare a farlo ancora per molto.

Gigi, 19/11/2001