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Ultima Thule. Il Luogo Ideale della mitologia, il punto più lontano, la meta di ogni viaggio. Come lo Shangri-la delle popolazioni Himalayane o la Valle Perduta dei Walser. Potrebbe essere anche solo la collina dietro casa. Ma per ognuno è il luogo dove si desidera tornare.
Noi veniamo di lì: thuler.

Una notte sul Pedum

Ti regalo, caro Nando il raccontino di un mio bivacco insolito. A tutto ho pensato in quel posto tranne al fatto che ero da solo.
Spero di non annoiare gli altri.

8 settembre 2000

notte, Alpe Cortachiuso

- Venerdì sera a Cortechiuso! -, l’appuntamento coi giovani amici era di quelli improvvisati, chi c’è c’è, senza impegno.

Ho scelto la via più lunga per giungere qui.
Nel pomeriggio tiepido e limpido sono salito da Malesco sulla lunga costa erbosa della Testa del Mater.
Volevo gustare fino all’ultimo la vista delle montagne nella tarda estate, il sole che scolora, il cielo terso. Tutto attorno la danza di cime, valli e prati in un vortice d’azzurro, di viola e d’oro. Una campana di capra invisibile, un tocco lontano di mucca.
Mi sono fermato più volte a bere il latte di questa bellezza.
Nell’ora che matura i ritorni io camminavo verso i monti selvaggi, mi allontanavo dai porti. Senza fretta andavo, in questo incanto felice, andavo a Cortechiuso ad un incontro con amici montani.
Senza fretta.

E così sono arrivato più tardi del previsto, quasi di notte, in vista del Curcius.
Da lontano, di sera, quest’alpe stringe il cuore. Vederlo sprofondato tra le onde immobili di vette scabrose, sommerso nell’ultimo crepuscolo, minuscolo, sperduto, ti fa toccare tutta la solitudine del posto. Piccola scialuppa nel grande mare. Naufragio della civiltà del monte. Pezzo di un addio.
Ma più da vicino oggi no, oggi era come la casetta delle fiabe. Un bagliore caldo dalle finestre e un filo di fumo, hanno vinto ogni desolazione, hanno aperto il cuore alla gioia, hanno mosso il passo alla corsa: gli amici ci sono!
Potenza del luogo che attrae gli spiriti inquieti e gli animi nomadi.
Arrivo!

E’ stata una placida serata in compagnia di Luca e Wolly, che hanno le chiavi della baita meglio sistemata, un rustico gioiello. Una cena da montanari forti, che non temono il peso del trasporto, primo, secondo, vino, dolce e caffè. Il mio deve restare nello zaino, offrono loro.
Un po’ dentro a curare la stufa, un po’ fuori a respirare il fresco, il buio e le stelle. Parlar di ricordi e di sentieri fatti.

Anche loro, come me, non sono veri montanari ma amano la montagna. La amano così, non per farne conquiste ma per esserne stati conquistati. Grati di quanto ricevono, pieni di scherzoso rimpianto per non poter esserci di più, ma è giusto così.
Amore per la Val Grande, scoperta di se’… ci intendiamo.
C’intendiamo, qui dentro, accanto a questo fuoco allegro, c’intendiamo, là fuori, sopra quel poggio sospeso sul buio smisurato che colma la valle, sotto quel cielo pazzesco, strapieno di luci.

Non siamo soli nell’universo.

Sono contento di essere qui, assaporo il piacere di questa compagnia imprevista ma domani loro devono scendere a valle ed io coltivo un mio progetto a lungo sognato. Quando ci siamo sentiti, l’altro giorno, ho letto in questa occasione un invito a violare, finalmente, il mio ultimo tabù di Val Grande, la vetta del Pedum.

9 settembre

notte, in cima

Suono la mia armonica alle stelle in questa notte stregata sul Pedum.

Ero solo, prima che sorgesse la luna a tenermi compagnia, ora non più.
Ora sono parte integrante del Tutto.
Le mie note escono dal pentagramma del cuore, vengono rapite dal vento e si spandono nel buio.
Qualche vortice bizzarro le ruba agli astri e le sparge giù dalle rocce selvagge, fino ai prati sassosi, fino al pavido bivacco della Bocchetta di Campo, da pochissimo risorto dalla rovina.
Qui giungono alle orecchie stupefatte di altre solitudini nell’oscurità assoluta.
Un gruppo di escursionisti con guida è testimone casuale di un miracolo inspiegabile ma certo: il monte canta al mondo la sua nostalgia del cielo.

Da anni anelavo a questa vetta ma il timore del passo, il dispetto del tempo, altri sogni del cuore, mi hanno tenuto ogni volta lontano.
Ritrosie di donna, dispetti di fata: Pedum, ti concedi solo ora, nel massimo della tua bellezza.
Provo a dipingere su un foglio il tramonto, lo sconfinato orizzonte di vette azzurrine sotto l’incendio delle ultime nubi sul Rosa: impossibile.
Che cielo, che valli, che laghi!
Ma più di quella bellezza armoniosa, di cosmiche dimensioni, è proprio questa vetta scabra che m’attrae.
Essa emerge dalle profondità dalla Val Grande come da un ventre oscuro, come da un’orgia d’immaginazione. E’ tutta un caos di rocce ferrose e sassi rotti, di profonde fessure e prati scoscesi. Non è altissima ma tutto sovrasta con l’autorità della sua forma anomala.

Il tempo trascorre, la luce della luna, che ormai è sovrana del cielo, sfiorando la cima, aumenta il suo incanto. Il raggio della dea notturna la trafigge e passa oltre, stravolge le prospettive, risveglia i fantasmi che in ogni cosa sonnecchiano e li accompagna a volare nel cielo.

Io sono qui con tranquilla naturalezza, conteso tra i due poteri del cielo e della terra. Il mio pensiero si concilia coi moti del cuore e la mano che scrive non stempera più gli aggettivi: strepitoso, fantastico, incomparabile, imprevedibile… parole.
Soltanto parole.
Qui c'è qualcosa di più...
Non descrivibile.

Giunge infine l’ora di svolgere il sacco a pelo e chiudere gli occhi, per proseguire questo sogno nel sonno.

…che c’è?
Che è stato?
Stavo per prendere sonno in una comoda nicchia tra i sassi ed i rododendri, quando un battere d’ali m’ha fatto sussultare.
Un grosso uccello nero, un gufo in caccia o un gracchio enorme, non so, forse l’aquila regina… o altro.
Tre volte ha roteato attorno alla cima, vicinissimo, tre volte ha roteato attorno a me, grandissimo.
Nell’abbagliante splendore delle nubi che giocano con la luna, nell’assoluto silenzio di questa distanza da tutto, ha voluto dirmi qualcosa, qualcosa solo per me.
Un sussurro che non ho saputo intendere.

Pierluigi, 01/01/2001