thuler.net
Ultima Thule. Il Luogo Ideale della mitologia, il punto più lontano, la meta di ogni viaggio. Come lo Shangri-la delle popolazioni Himalayane o la Valle Perduta dei Walser. Potrebbe essere anche solo la collina dietro casa. Ma per ognuno è il luogo dove si desidera tornare.
Noi veniamo di lì: thuler.

Un magico trek: sei giorni per sei laghi

"Non dovremmo negare …… che l'essere nomadi ci ha sempre riempito di gioia. Nella nostra mente è associato alla fuga da storia, oppressione, legge e noiose coercizioni, alla libertà assoluta"
Wallace Stegner

Ancora a metà giugno non avevo nessun programma per le vacanze: da sola in viaggio proprio non mi andava. Gli amici di gruppo si recavano in Tanzania e dovevo trovare una soluzione alternativa. Avevo solo un obiettivo: il desiderio di tornare sulle creste dolomitiche dopo la bellissima vacanza di due anni fa. Poi Vito e Giusy hanno deciso di condividere i miei desideri: un percorso in Dolomiti da rifugio a rifugio e alcune vie ferrate. Trovato il gruppo bisognava scegliere il percorso: bella scoperta! La documentazione in nostro possesso non ci bastava per decidere, non avendo mai affrontato un'Alta Via dolomitica. Così ho lanciando un po' di e-mail nel magico mondo di internet e montanari cibernetici ci hanno aiutato a scegliere. Non volevamo la folla, non volevamo i vacanzieri, desideravamo solo godere della compagnia delle montagne……e di un buon piatto di funghi e formaggio.

Individuato l'itinerario, abbiamo anche capito come muoverci. Prenotare pianificare decidere, prima di cominciare ci sembrava tutto molto complicato, ma, a 10 giorni dalla partenza, sapevamo dove ci avrebbero portato gli scarponi: destinazione ALTA VIA N. 1.

Le alte vie rappresentano la possibilità di attraversare comprensori montuosi, senza aver bisogno di tornare a valle, tra rupi frastagliate, colossi rocciosi, boschi di larici abeti e prati. L'idea di Piero Rossi, alpinista bellunese, prese corpo a metà degli anni '60 con la realizzazione di ben 7 lunghi itinerari da nord a sud. I sentieri che seguono le grandi linee di cresta furono concepiti in modo da toccare tutte le aree dolomitiche più importanti. Quasi ogni tratto di percorso si stende tra due punti di appoggio custoditi, così da agevolare il cammino.

Tra i dieci percorsi realizzati la N. 1 occupa una posizione particolare, non solo per essere stata la prima, ma soprattutto perché costituisce un magnifico itinerario attraverso uno delle più splendide zone alpine. La parte orientale delle Dolomiti presenta una struttura molto irregolare, eterogenea rispetto a quella occidentale, costituita da un'imponente massa dolomitica uniforme. Attraversa una zona veramente incantevole in cui enormi bastioni rocciosi si ergono accanto a sperduti pascoli, a guglie inclinate. Dalla Val Pusteria sudtirolese il sentiero porta verso Belluno, nella valle inferiore del Piave, segue la dorsale principale delle Dolomiti orientali che corre in direzione nord-sud lungo la Val Badia e la Val Cordevole.


Ho lavorato sino alle 21.00 di venerdì 3 agosto e a notte fonda ero ancora alle prese con i bagagli, sveglia all'alba e partenza: sentivo già il senso della vera avventura. Avevo già altri trek negli scarponi, ma sempre assistititi da amici più esperti, questa volta l'avventura mi apparteneva interamente.

4 agosto

E' un dormiveglia tutto il viaggio; quando non guido, sono stordita dal caldo e dalla stanchezza accumulata nell'ultimo mese. La fila di auto all'ingresso della Padova - Venezia mi riporta alla realtà: sono in vacanza e come tale il prezzo da pagare è la coda! Poco ci importa. Nemmeno ci innervosiamo per l'inconveniente, siamo in vacanza e tanto basta. Arrivati ad Alleghe alle 18.30 facciamo appena in tempo ad acquistare le carte per il sentiero, senza le quali sarebbe stato difficile procedere ed orientarci. Poi raggiungiamo il nostro Garnì con vista sul lago: le acque calme sono per noi il meritato riposo. Ceniamo con le scorte dei viveri e ci concediamo una passeggiata lungo il lago dopo l'ultima controllata agli zaini.

5 agosto

Alle 7.50 attendiamo già il pullman per Braies, cambiamo mezzo a Cortina e attraversiamo Dobbiaco, per il nostro ultimo autobus in compagnia di soli escursionisti. La nostra fermata è S. Vito, proprio in prossimità dell'attacco del sentiero. Il segnavia bianco e rosso contrassegnato dal n. 1 ci guarda invitante. L'avventura comincia solo domani per noi e cerchiamo una soluzione per la notte. Chiedendo ad un pastore, ci viene indicato un vecchio albergo adesso di proprietà di una organizzazione religiosa. Mi vengono in mente le parole "chiedete e vi sarà dato". Così, molto semplicemente, attraversando un ponte di legno in un luogo da fate troviamo alloggio per la notte, ci assicuriamo la cena, conveniamo il prezzo: il nostro problema in 10 minuti è stato risolto… magicamente.

I nuvoloni carichi che ci avevano accompagnati per tutta la mattinata si dissolvono e così decidiamo di dare un'occhiata in giro. Giusy è terribilmente attratta dai bacini lacustri così ci lasciamo convincere a consumare il pranzo in prossimità del lago.

Abbandoniamo gli zaini e iniziamo a camminare nel bosco di larici e abeti rossi: il paesaggio è bellissimo. Seguiamo con lo sguardo la luce del sole che si fa strada tra le nuvole e fa così caldo che non ci sembra di essere a 1400 m di quota. Il sentiero insegue il Rio Braies emissario del lago: un luogo incantato. Giochi d'acqua tra i massi e gli alberi ci chiedono attenzione. Raggiungiamo agevolmente il lago di Braies e scopriamo un gioiello, un castone prezioso tra le alture del Sasso del Signore, il Campo del Cavallo Piccolo, la Croda del Becco, la Punta della Quaira di Sennes ed il Monte Nero. L'acqua occupa la base di una dolina tra le alte pareti che si innalzano al cielo. Il piccolo campanile della chiesa di S.Cristoforo si specchia nelle acque tranquille.

Prendiamo a nolo una barchetta di legno. Raggiungiamo a remi le anse nascoste e scopriamo nuovi panorami: una cascata un nevaio una spiaggetta di ghiaia. Riusciamo anche ad individuare il percorso che ci vedrà impegnati domani. Il posto è bellissimo ma c'è troppa gente, qualcuno grida per sentire la sua eco…troppa confusione per i noi. Al centro del lago troviamo un po' di pace, ma l'Alta Via n. 1 è ingombra anche di passeggini.

Le cime si riflettono, altere, sulla superficie immobile. Penso a come i laghi possono rappresentare infiniti paesaggi dell'anima. Non c'è altro luogo che sappia generare tali e tanti sentimenti: entusiasmo, serenità, armonia, malinconia, inquietudine, tristezza, abbandono. Davanti ad un lago credo sia difficile restare indifferenti.

Solo con il sole che cala rientriamo, per cenare nel grande refettorio sotto belle capriate di abete.
Dalle grandi finestre scorgo il crepuscolo che annega di un azzurro metallico le creste e l'aria.
Per tutto il tempo che ho pensato a questo viaggio ho mantenuto fissa ed ostinata un'idea: cercare l'armonia….. e sul prato illuminato dalla luce grigia della sera, qui, la sento palpitare intorno. La porta si chiude per la notte.
Apro la finestra: miriadi di stelle luccicanti, accompagnate dal dondolio di una lampada appesa al vento, come nei tempi antichi, per dare al viandante il senso della strada.

6 agosto

Dopo una buona colazione, zaini in spalla e via sul sentiero. Stiamo davvero partendo per la nostra avventura. Abbiamo appena lasciato le dolci praterie punteggiate di villaggi tirolesi della Val Pusteria ed, all'improvviso, si staglia davanti a noi la Croda del Becco, imponente e severa con i suoi 1000 m di dislivello. Ai suoi piedi l'ampia conca glaciale che custodisce le acque freddissime del lago di Braies, incassata tra il materiale morenico modellato dal ghiaccio. La passione per l'acqua spinge i miei coraggiosi compagni di avventura ad un bagno mattutino e così assaggiano con la pelle l'acqua di fusione.

Affrontiamo la parte più impegnativa del percorso di oggi, dobbiamo raggiungere la forcella Porta Sora il Forn prima di poter respirare. Il vallone tra il Campo del Cavallo e la Croda del Becco non perdona le nostre gambe ma il panorama è spettacolare. E' facile andare al ricordo di altri percorsi condivisi: il sudore scende copioso per la fatica e per la forte umidità, mentre molte creste si nascondono nella nebbia. Raggiungiamo la massa umida ed ogni prospettiva ci viene impedita, ogni orizzonte nascosto, solo un passaggio attrezzato con i cavi di acciaio ci suggerisce l'idea degli orizzonti negati alla vista. Saliamo accompagnati da pochi escursionisti. In prossimità della forcella Porta Sora il Forn il via vai si intensifica. Svalichiamo nella nebbia, ma il sentiero è così ben segnato che non abbiamo dubbi per la progressione; solo grossi nuvoloni minacciano il nostro cammino.

Nel trambusto del valico scorgo due caschi da bici, guardo meglio e vedo due ciclisti tedeschi con bici a tracolla impegnati a superare il ripido pendio roccioso. Raggiunto il vecchio rifugio Biella sappiamo che la fatica è terminata, per oggi; la successiva parte della tappa è un leggero sentiero sugli altipiani calcarei, dove pascolano tranquille le brune alpine docili alle carezze. Lontano dalla folla del rifugio sentiamo il richiamo acuto delle marmotte ma non riusciamo ad individuarle.
Il cielo ci concede qualche minuto di visibilità.

La nebbia si dirada lasciando i nostri occhi stupefatti, siamo immersi in un morbido paesaggio carsico: dove sono le vette acuminate e le creste imprendibili? Nulla, solo i dolci altipiani erbosi di Fosses. Siamo ormai lontani da tutto ciò che è terreno e routine quotidiana: camminiamo sopra le nuvole.

Il morbido saliscendi dei dossi dell'Alpe di Sennes ci conduce in vista del rifugio Sennes. E' una vera bellezza, con il candido delle pareti ed il bruno del legno di abete consumato dal tempo. E' una gradita sorpresa per noi: la sala mensa è riscaldata da un rivestimento di legno, bagni comodi e pulitissimi, camerata bellissima sotto il tetto spiovente. E' tutto molto bello e soprattutto ….comodo. Dopo la doccia calda pranziamo sui tavolacci esterni, ed ecco che a sud riappaiono i panorami di roccia: l'ardita cresta dellaCroda del Becco, la Croda Rossa, la Croda Canin……. Campanili di roccia si rincorrono tra i prati verdi fioriti di minuscole orchidee. Un raggio di sole asciuga i nostri capelli e fa luccicare la dolomia.

Il rifugio è frequentato da tanti ciclisti, ma su queste rocce ed a queste altitudini? Il pensiero corre veloce agli amici bikers…..rimasti a casa.
Il sole ci mette voglia di camminare e ci alziamo sul pratino per meglio godere del panorama. I circhi glaciali della Croda Rossa e le valli moreniche della Croda Del Becco ci lasciano senza fiato. Penso all'intenso lavoro dei ghiacci che hanno lasciato le alture solo nel Quaternario. Godiamo della pace e della musica della montagna, lontane ci raggiungono le voci del rifugio.

E' un piacere distendersi al sole sull'erba morbida e fresca di pioggia. E' il più bel riposo che potevamo concederci. Nuvole dispettose ci coprono il sole mentre le brune alpine con i loro campanacci, giù a valle, si raggruppano per la mungitura nei pressi del lago di Sennes, ridotto ad una misera pozza d'acqua. Penso alle regole dell'idrografia, i laghi sono fenomeni transitori, anomali del reticolo idrografico, che i corsi d'acqua tendono a cancellare per raggiungere il loro profilo di equilibrio.

Rifletto anche sul mio stato d'animo, le proprietà fisiche del territorio trovano una corrispondenza nel mio umore. I sentieri che percorro conducono esternamente a valli erbose e creste affilate ma hanno anche uno sviluppo interiore. Dall'osservazione del paesaggio, dal leggere e dal pensare mi deriva sempre una sorta di esplorazione di me: così da qualche anno ritorno a ripetere lo stesso rito, mi avvio sul sentiero senza voltarmi indietro. Mi sposto a piedi per raggiungere luoghi inaccessibili e godere della quotidianità delle piccole cose: dal silenzio al pasto frugale, dal piacere dell'ignoto a quello della fatica. La scoperta di questi segreti si potrebbe chiamare avventura, ma è qualcosa che scende nel profondo, così come nei boschi ci sono strade visibili e percorsi invisibili: a questa ricerca mi sto dedicando.

La cena è una piacevole sorpresa, tagliatelle con i funghi, profumatissimi: un piattone da spaccapietre. La polenta fumante di formaggio poi è un mare giallo dentro il quale ci tuffiamo ed innaffiamo con un Merlot rosso rubino. La grappa al ribes per digerire….. e poi solo il sacco a pelo conosce il resto.

7 agosto

Partenza comoda questa mattina, e un bel sole a ristorarci. Il percorso oggi comincia in discesa, dobbiamo perdere 600 m di dislivello su una mulattiera transitabile anche con i fuoristrada: è il percorso utilizzato dai rifugi Sennes e Fodara Vedla per l'approvvigionamento. I boschi di cembro alleviano i morsi del sole cocente. Giochiamo sul sentiero, ci raccontiamo storie, sappiamo di avere una tappa semplice oggi e la discesa è agevole.

Un canuto signore ci interroga sul nostro itinerario e ci informa che il vasto prato erboso davanti al rifugio Sennes era una pista di atterraggio utilizzata dagli aerei durante la prima guerra mondiale e sottolinea, con rammarico, che nessuno ricorda più la Grande Guerra che si è combattuta tra queste montagne.

Ci affacciamo verso la Val di Tamersc, da circa 300 m più in alto, e scorgiamo il rifugio Pederù affollato di auto; è il punto di arrivo della strada che parte da S. Virgilio di Marebbe. Avvertiamo con dispiacere il rumore e la frenesia del nostro tempo. Quando la discesa diventa ripidissima nel vallone di Rudo, notiamo il piazzale ingombro di gente e di bici, ed un fiume di persone che sale a cercare refrigerio nel bosco.

Continuiamo a scendere verso valle, vertiginosamente; la strada aumenta la pendenza proporzionalmente all'aumentare della gente: bambini vecchi giovani e con piacere osservo l'assenza dei "rambo" da questi sentieri.

Arrivati a valle ci infiliamo nel vallone di Fanes tra le cime del Blanch da Se e della Furcia dai Fers, di Cima Delle Nove e Cima delle Dieci…nel leggendario regno del Piccolo Popolo di Fanes. La salita è agevole, ingombra solo di tanta gente che va e che viene, moltissime mountain bike e tanti piccoli escursionisti in erba con i loro piccoli zaini. Un traverso sul ghiaione ed il paesaggio muta, niente boschi, solo pietra lunare: l'orizzonte è luminoso, immensi ghiaioni, calanchi, lastroni inclinati, vette calcaree, costituiscono un panorama di asprezza primitiva.

Il Lago Piciodel ci fa interrompere il cammino, l'acqua esercita sempre una forte attrazione, aggiungendo al nostro andare qualcosa di irreale, di fiabesco. Commentiamo che nessun lago ha lo stesso colore di un altro. Le acque opache e anonime che colano dai nevai e dai ghiacciai subiscono incantesimi che la scienza fatica a spiegare, e si scelgono un colore nella infinita gamma dei celesti dei blu dei verdi dei grigi. Il colore è il miracolo di ogni lago, unico e irripetibile. Saranno le rocce del fondale, la sabbia, dipenderà dalle alghe o dall'ossidazione dei minerali, ma non c'è strumento che possa riprodurre la cromia indescrivibile di un lago di montagna: sappiamo che anche le foto risulteranno alterate. Ma scattiamo le immagini di rito e riprendiamo a camminare sotto le pareti meridionali della Furcia dai Fers. Siamo nel regno delle marmotte, che si annidano sui gradoni di roccia intorno all'Alpe di Fanes: i locali amano chiamarlo il "Parlamento delle marmotte". Ne avvertiamo solo la presenza dagli inconfondibili richiami.

La strada sale leggera lungo il Rio Plan emissario del Lago Verde. La carta ci riporta il disegno di un corso d'acqua che collega i due bacini e gli altipiani carsici, ma siamo in alta montagna: le alte pareti quasi prive di vegetazione, i grandi canaloni detriciti, sono testimonianza della quota. Se le anse ci invitano a fermarci, i nuvoloni carichi ci spingono a proseguire, manca poco alla fine della nostra tappa.

Risalendo il Vallone di Fanes il Rio Plan ci resta sempre accanto, sono minuscole gocce d'acqua che rotolano a valle creando musica. Raggiunto l'altopiano verso le cime del piccolo Fanes, la piccola malga è un oasi per bambini, latte fresco e formaggio si riversano sui tavoli di abete. Oltrepassiamo il grande Rifugio Fanes, ed un decorato segnavia ci indica il termine della nostra tappa. Ammiriamo incantati così un altro gioiello di questo sentiero, una graziosa costruzione di pietra e legno fiorita dietro le pozze del Lago Verde, e sullo sfondo ad ovest le alture di Cima delle Dieci, Cima delle Nove, un paesaggio da favola.

Dopo la doccia ed il bucato, il pranzo lo consumiamo in una piccola depressione carsica con tavolini e panche di grigio calcare. Le nuvole restano sedute sulle vette che ci circondano e non ci resta che fare vita da rifugio.

Verso sera l'orizzonte si scopre e passeggiamo intorno al lago prima di cena per poter meglio apprezzare le tagliatelle ai porcini saporosi, nella piccola sala da pranzo tutta rivestita di legno intagliato. Con la sera il lago veste, uno dopo l'altro, tutti i colori della luce. Tutto ci sembra possibile in questa bella casa, nella luce che declina indietreggiando in gamme di blu sempre più ricchi di ombra. Lontani dal respiro del bosco, dalla piccola finestra possiamo fissare la terrazza di stelle mentre il silenzio si ispessisce.

8 agosto

Sveglia all'alba questa mattina, dobbiamo essere presto sul sentiero. Dopo colazione aspetto chi si è attardato e leggo sul libro che porto con me "Il vero raccolto della mia vita quotidiana è qualcosa di altrettanto intangibile e indescrivibile dei colori del mattino e della sera. E' un po' di polvere di stelle afferrata - un segmento di arcobaleno che abbiamo preso con una mano" (H.D. Thoreau) Credo forse di capire il senso profondo delle parole dello scrittore, mentre la luce del nuovo giorno si affaccia a valle.

Camminiamo felici su lastroni calcarei scolpiti dall'acqua, del grande altipiano del lago Verde: ci sentiamo bene. Ci voltiamo indietro, la casona appare ancora immersa nel sonno, è tinteggiata di fresco e palpita coi colori delle sulfinie mollemente appese ai balconi. Il lago è una lingua d'argento, un bagliore che accoglie il riverbero delle montagne, è un guizzo di luce, un riflesso, un ologramma.

Saliamo di quota e ci voltiamo ancora: un ultimo sguardo alle rocce levigate dell'Alpe di Fanes per poi specchiarci nel Lago di Limo, non per sterile narcisismo, ma per il desiderio di essere parte di questo meraviglioso pezzo di mondo. E ripenso alla precarietà della vita di un lago, al delicato equilibrio che amplifica la bellezza del posto. Ci lasciamo incantare dagli "occhi del cielo" cantati dai poeti e ammirati dai viaggiatori di tutti i tempi. Forse questo aggiunge qualcosa al loro fascino romantico e un po' malinconico.

Sprofondiamo nella verdezza riposante di prati e boschi, ci facciamo conquistare dal piacere delle piccole cose, dalle malghe e dalle vacche che pascolano tranquille, dal profumo della vita d'altri tempi. Scherziamo sul senso della strada attraversando la valle, lo zaino sembra non pesare più mentre stupendi cembri ci accarezzano il capo.

Imbocchiamo il sentiero contrassegnato dal n. 10 e perdiamo quota. Il percorso è stretto tra gli spalti di Col Bechei e la Croda del Vallon Bianco, lungo il torrente Fanes: l'orizzonte è bellissimo. Sullo sfondo galleggia leggero nella luce del mattino il gruppo del Monte Cristallo. Continuiamo a seguire la valle…ma siamo in errore stiamo scendendo lungo il corso del torrente Fanes, e solo quando abbiamo perso 200 m di quota ci accorgiamo che non ci sono più segnavia. Un giovane pastore ci avverte che siamo in direzione di Cortina e che la Forcella del Lago e da tutt'altra parte. Un impeto di rabbia, oggi non dovevamo sbagliare…..la salita al Lagazuoi piegherà le gambe e ci permettiamo di sbagliare anche strada! Penso ad un monito della montagna: "non scherzare con me, solo molta attenzione sui miei sentieri".

A denti serrati riguadagniamo quota e sentiero, ed i miei compagni di viaggio commentano che sbagliando strada abbiamo potuto ammirare il panorami della palude di Fanes.
Sereni riprendiamo il nostro sentiero; il paesaggio è maestoso, nonostante le descrizioni timide della nostra guida, restiamo sorpresi quando l'orizzonte si apre verso la Malga di Fanes Grande.

Nell'ampio pianoro carsico del Passo Tadega, dove campeggia imperiosa la Forcella del Lago, cavalli aveglinesi pascolano tranquilli, sono docili e si lasciamo accarezzare. Ci immaginiamo come cavalieri erranti del buon tempo che fu o cacciatori da favola alla ricerca della piuma fatata del mitico urogallo.

La forcella che incombe su di noi, sposta i nostri ricordi ad un altro tratto di sentiero che abbiamo percorso insieme lo scorso anno in Corsica nei pressi del rifugio Ascò: il circolo della Solitudine. Più ci eleviamo verso la forcella stretta tra Cima Scotoni e la Torre del Lago, più riscontriamo similitudini. E l'impressione è confermata quando ci affacciamo verso la cima del piccolo Lagazuoi: i 300 m di dislivello verticale ci riportano ancora indietro nel tempo.

Il piacere trasmesso dalla roccia, l'emozione di essere qui non riesco a riportarlo in parole. Il paesaggio aspro è addolcito dal piccolo lago blu, incastrato nel fondo del ghiaione. Scendiamo tra massi infidi e la ghiaia umida per godere la vista della maestosa parete ovest di Cima Fanis. Il lago Lagazuoi, piccolo e azzurrissimo sul fondo della valle, chiede un bagno anche senza sole e con grossi nuvoli appesi alle creste e senza curarci dell'incombente salita verso il rifugio.

Riesco a pensare alla natura come qualcosa di selvaggio e terribile benché bellissima. Guardo con soggezione la terra che calpesto e penso alle forze che hanno compiuto questo miracolo, dal caos della notte dei tempi. Qui non ci sono giardini ma il globo incontaminato. Niente prati né pascoli né coltivazioni né boschi né terre arabili né incolte né desolate. E' la superficie del pianeta fresca e naturale, la Madre Terra, casa di Fato e di Necessità. Sento la presenza di una forza che non è tenuta a essere gentile con l'uomo. Essere così sola davanti alla materia. Entrare in contatto con le rocce e il vento sul viso, la terra solida, il mondo autentico: felice di essere qui.

Il cielo mutevole invita a ripartire, dopo aver temprato i muscoli nell'acqua fredda, ma affrontiamo i 600 m di dislivello a cuor leggero, non immaginando minimamente quello che ci aspetta. Il sentiero si trasforma in una placca di calcare obliquo e gocce di pioggia ci impensieriscono ma continuiamo lentamente a guadagnare quota. Dietro di noi sfilano superbe la Torre del Lago e Cima Scotoni, cima Fanis, il Grande Lagazuoi, la Tofana III e l'imponente Tofana di Rozes. Il rifugio resta un miraggio lontano, nascosto dalla nebbia leggera. Rumori sinistri si spandono nella valle: un sussulto tra le nuvole basse ma poi ricordo che in vetta al piccolo Lagazuoi sbarca la funivia. Superiamo i resti delle trincee di guerra e ci avviciniamo alla parte più impegnativa della salita.

Tre passi un respiro, tre passi un respiro "è un percorso di purificazione verso la Luce" recita la nostra guida, anche se oggi il panorama ci verrà negato. Le nuvole corrono basse dipanando una fila vertiginosa di ombre.

Arriviamo in vetta stanchi ma soddisfatti…ma addio vista sulla Marmolada sul Pelmo e sul Civetta, solo nebbia vento e pioggia e …… un po' di acido lattico in circolo. Le nuvole si aprono un attimo: un mare increspato di sipari sovrapposti, una serie ininterrotta di netti profili sfuma nell'infinito del cielo che divora l'orizzonte tra fauci bianchissime.

Per il resto del pomeriggio vita di rifugio, rimandiamo ad un altro giorno la passeggiata sulla cresta panoramica del Piccolo Lagazuoi. Chiacchierando con Guido, il gestore del rifugio, ci viene voglia di visitare le gallerie scavate durante la Prima Guerra Mondiale, rese percorribili ed attrezzate con funi metalliche. La provincia, con fondi FERS, ha ripristinato le galleria, le postazioni militari, le camere di scoppio. Decidiamo di provare a scendere domani per il percorso lungo le trincee, piuttosto che passare da forcella Travenanzes.

A cena presto attenzione alle voci degli altri commensali, sembra di essere in una capitale cosmopolita, tedeschi, inglesi, spagnoli, austriaci, polacco, e qualche sparuto italiano. Dividiamo la camerata con un gruppo di americani.

Regoliamo la sveglia per le 6 quando la nebbia ancora non si è alzata, sperando di poter godere del panorama, poche chiacchiere, qualche manovra ai trapezi doloranti e poi le braccia di Morfeo.

9 agosto

Mi sveglio alle 5, dalla grande finestra una coltre di nebbia ricopre il panorama come una glassa di zucchero, grande è la delusione, così poltrisco nel sacco a pelo. Ci alziamo pigramente, sorridiamo solo in vista del tavolo imbandito per la colazione; ogni nostro desiderio è soddisfatto, ma dalle ampie vetrate aperte sul panorama filtra ancora la nebbia spessa ed impenetrabile. Comincia anche a piovere. Rinunciamo al percorso di guerra e vista la pioggia decidiamo di scendere con la funivia sino a Passo Falsarego. Senza troppa tristezza però perché ci torneremo dopo qualche giorno, nella prima giornata limpida, con gli amici che ci raggiungeranno per il fine settimana.

Superato il traffico del passo, indossiamo le protezioni per la pioggia e ci incamminiamo. L'erba bagnata del Pian di Medis ci infradicia gli scarponi ed i pantaloni ma godiamo del profumo dei prati in fiore e delle tante orchidee da fotografare che occhieggano all'improvviso tra guanciali di felci, altere e bellissime.

Arriviamo al rifugio Col gallina, e notiamo con rammarico che la vicinanza di Cortina, ha tracciato segni profondi causati dall'eccessivo sfruttamento turistico della zona. Ancora impianti di risalita e funivie, piste da sci hanno alterato irrimediabilmente il paesaggio.

Affrontiamo la salita nel bosco sotto le pareti settentrionali di cima Averau, il sentiero è bellissimo. La parete sud della Tofana di Rozes ci guarda, e riconosciamo il sentiero a cui abbiamo rinunciato ma la pioggia copiosa ci sottolinea che non avevamo alternative. Guadagnando quota, qualche passaggio su roccia ci ripaga della rinuncia anche se la pioggia rende il percorso insidioso. Ci fermiamo spesso ad ammirare incantati i lucidi colori dei fiori e del verde intenso che si fa strada tra le rocce. Siamo fradici fuori per la pioggia e dentro la giacca per il sudore, ma sorridiamo felici.

Abbiamo una buona visibilità nonostante la pioggia che cade senza sosta, il fronte nuvoloso è molto in alto. Il cielo si chiude in un orizzonte grigio scuro e sento qualche fragore lontano. Non posso guardare la carta per verificare la nostra posizione e comincio a chiedere ai compagni di allungare il passo. Ma restano rapiti dalla bellezza della Valle Oscura e, se non mi va di allarmarli, so anche che dobbiamo raggiungere il rifugio e metterci al coperto prima possibile.

Il bosco è ormai alle nostre spalle, solo rocce basse e noi camminatori, bagnati sino al midollo: non mi piacerebbe fare la fine del parafulmine. L'intricato labirinto di guglie, massi e torri che costituiscono il gruppo delle Cinque Torri mi pare ancora lontano. Rifletto però che la nostra tappa è a misura di temporale, resa più semplice dalla deviazione e senza particolari difficoltà tecniche.

Sono felice di come sento il mio corpo: le ginocchia reggono, i muscoli tengono nonostante non sia riuscita a fare un buon allenamento preparatorio per questo trek. Penso anche a quanto sia gratificante poter avere un sistema di sentieri e di rifugi che ti accolgono alla fine di ogni tappa. Camminare da rifugio a rifugio è come avere la propria casa in ogni angolo del mondo. Di più: una casa nei luoghi più belli del mondo, se hai la fortuna di raggiungerli a piedi.

A 100 m dal rifugio un rumore assordante e cominciamo a correre: finalmente siamo al riparo. Grondiamo acqua e sudore ma forse, dopo lo spavento, siamo divertiti dalla situazione. La saletta del piccolo rifugio Cinque Torri è ingombra di escursionisti che cercano riparo, sono sparsi ovunque zaini, scarponi bagnati, e fradici arrampicatori.

Dopo uno spuntino ed una squisita omelette con i mirtilli, il cielo si apre e riusciamo a guardarci intorno: Le Cinque Torri, il Averau, il Nuvolau, la frastagliata Croda da Lago, il maestoso Sorapis, l'Antelao, un panorama a 280° di montagne bellissime, che appaiono e scompaiono nei grossi banchi nuvolosi. Sulla più grande delle Cinque Torri c'è chi non ha smesso di arrampicare nonostante la pioggia, sotto le paretine strapiombanti.

Mentre aspetto che il tempo migliori per una passeggiata nei dintorno leggo "il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva dall'incontro con nuove esperienze e, quindi, non esiste gioia più grande dell'avere un orizzonte in continuo cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso. Se vuoi avere più dalla vita, devi liberarti della sicurezza monotona e adottare uno stile più movimentato che al principio ti sembrerà folle, ma non appena ti ci sarai abituato, ne assaporerai il pieno significato e l'incredibile bellezza".

Quando la pioggia smette, e la nebbia si dirada, le sagome scura delle alture si stagliano nette contro l'orizzonte luminoso. Mentre una striscia incandescente arde sotto il piedistallo nuvoloso del cielo, ci avviciniamo alla palestra di roccia…che tentazione, lo schiocco dei moschettoni è irresistibile, per fortuna sono austriaci…così mi resta il desiderio di arrampicare. In questo posto si arrampica con la Croda da Lago e del Sorapis negli occhi … riesco a pensare a certi castelli bavaresi con le cime aguzze delle torri protese verso il cielo…. Ammirando i profili delle alture all'orizzonte penso che forse il Paradiso può avere questi contorni!

Ricordo una leggenda legata a questo posto: Misurina, figlia del re Sorapis, eramolto capricciosa, e desiderava entrare in possesso dello "specchio tuttosò" di proprietà della fata del Monte Cristallo. La fata era disposta a cederle lo specchio prezioso ma il prezzo da pagare era piuttosto impietoso: il Re Sorapis sarabbe stato trasformato in montagna. La bimba voleva a tutti costi lo specchio delle cui virtù magiche aveva sentito narrare, senza preoccuparsi del destino che sarebbe toccato al padre. Così, appena Misurina afferrò lo specchio, Sorapis fu trasformato in una montagna. Solo allora la bimba si disperò a tal punto che pianse così tanto da formare il lago che oggi porta il suo nome. Con le favole e le leggende nel cuore rientriamo.

C'è una bella aria nel rifugio, cordiale accogliente familiare. La sig.ra Ines, dalle guance colorate dalla cuperose, sorride sempre anche se fatica dalle 6.00 alle 11 di sera.
Cena da principi e notte da re. Siamo sistemati in soffitta e la pioggia, che ha ripreso a cadere, risuona sul tetto spiovente cantandoci una tenue ninna nanna.

10 agosto

Le prime luci dell'alba mi svegliano, apro la finestra: il profumo dei boschi che coprono le alture intorno al rifugio si inarca sopra la mia testa come una cupola, sono emozionata mentre provo a bloccare sulla pellicola fotografica la luce del nuovo giorno.
Dopo colazione lasciamo la famiglia di Berto e Ines Alberti con una foto di gruppo nel sole di agosto.

Quando non piove ed il vento si placa, l'aria diventa tersa e nel cielo azzurro le nuvole creano fantastici contrasti di luci, spandendo la loro ombra a valli e creste affilate, e così può capitare di ascoltare il silenzio ed anche il materializzarsi dei pensieri e le pulsazioni del corpo. Con queste emozioni comincio a camminare.

La tappa di oggi non si annuncia impegnativa, solo lunga. La discesa nel bosco, verso il guado del torrente Costeana, è un letto di fango nel verde lustro di pioggia recente; intorno, le vette frastagliate e selvagge brillano. Impieghiamo un'ora e mezza per perdere i 400 m di quota tra una scivolata e l'altra. Il bosco di abeti e larici è bellissimo. Nuvole galoppano nel cielo, oggi ci importa poco della pioggia, ogni gioco d'acqua, ogni fiore sono occasione per una sosta ed impressionare sulle pellicole fotografiche attimi bellissimi.

Traversiamo la cascatella del Rio Costeana e proseguiamo. Seguiamo la voce dell'acqua. Il ponte di legno sul torrente Formin ci invita a fermarci sotto le pareti settentrionali della Croda da Lago. E consumiamo il rito di questo trek: il bagno con un timido raggio di sole sotto la cascata ghiacciata. Riguadagniamo quota nella Val Negra: il sentiero è molto bagnato e gocce di pioggia ci impensieriscono un poco. Dalla sella possiamo vedere un sistema nuvoloso ancorato su Cortina.

Camminiamo sotto la cupola sbiadita di un cielo immenso e vuoto, ma ci importa poco siamo felici di essere qui, liberi camminatori di questo bellissimo sentiero. Avanziamo sino all'orlo del baratro dove spuntano i tetti di Cortina, per ammirare spirali di nebbia che danzano nell'aria, davanti ai bastioni delle dolomiti ampezzane: il Cristallo ed il Sorapis.

Attraversiamo un bosco incantato che ci accompagna sino al Lago di Fedèra, fermo, immobile ancorato alla base della parete orientale della Croda da Lago. In lontananza la cresta aguzza, dipinta di grigio del Becco di Mezzodì galleggia come un miraggio sopra il misterioso specchio d'acqua, come l'immensa lancetta di una meridiana naturale, che riflettendosi scandisce lo scorrere delle ore.
Seduti a consumare il nostro pranzo vicino l'acqua, osserviamo nubi temporalesche che si librano davanti a noi con lunghe frange dorate.
Dopo aver utilizzato molti scatti, a malincuore riprendiamo il sentiero. La salita sino alla forcella Ambrizzola è agevole, svalichiamo per camminare sullo sfasciume della parete meridionale del Becco di Mezzodì. Nuvoloni carichi di pioggia ci inseguono, risalgono la Val Boite minacciose e scure. Superata la forcella di Col Duro l'acqua ci ricopre prima con una pioggerellina sottile poi, alla Forcella Col Roan, si trasforma in un fiume in piena. Grosse gocce ci colpiscono forte, risuonano sulle nostre giacche……ma camminiamo al sicuro del bosco. Intravedo tra gli abeti foglie familiari: ma come, faggi a 2000 di quota? La linea vegetazionale non è a 1700 m? Forse le pareti meridionali della Rocchetta di Prendera e le pareti settentrionali del Monte Pelmo riescono a creare un microclima tale da consentire la vita ai faggi anche a questa quota. A passo veloce affrontiamo l'ultima mezz'ora sotto un temporale scrosciante. Saliamo sulla spalla del Col de la Puina, nel bosco, ed il sentiero è un'unica grande pozzanghera. Le gambe bagnate e fredde faticano a procedere, ma non ci possiamo fermare.

Un fulmine squarcia il cielo a Ovest verso Val Fiorentina, un brivido di paura e le gambe cominciano a filare nella pioggia e nel vento. Altro fulmine con boato verso est proprio vicino a noi, una scarica di adrenalina. Il rifugio, pur vicino, non si vede. Solo quando planiamo sul suo tetto possiamo tirare un sospiro di sollievo. Corriamo nel temporale furibondo verso il Rifugio Città di Fiume con l'odore delle nuvole addosso.

Entrando portiamo nel Rifugio anche un fiume d'acqua, mentre l'ingresso è ostruito dai molti escursionisti che hanno cercato riparo dall'acquazzone. Gelati, facciamo la fila per la doccia.
Dalla finestra del Rifugio città di Fiume, riusciamo a vedere solo l'ampio fronte detritico della Val D'Arcia e l'omonimo nevaio, ma il cielo non vuole liberarsi ed la vetta del Pelmo resta nascosta tra le nuvole. Pensiamo alla tappa di domani, non vorremmo rinunciare all'ultimo giorno di cammino. Il cuore si abbandona, paziente, al salire della marea dei sentimenti e dei racconti di altri viaggiatori finché dopo la cena mi sdraio nel sacco a pelo con una storia rimboccata fino al mento.

11 agosto

Cominciamo a camminare perplessi, le nuvole spesse sono sopra di noi, non sappiamo ancora che la montagna saprà regalarci una giornata meravigliosa. Ci lasciamo alle spalle il Pelmo, enorme ed imponente pilastro crocevia in mezzo a tre valli, Val del Boite, Val Fiorentina e Valle di Zoldo. E pensare che i veneziani, per la sua forma caratteristica, lo utilizzavano per orientarsi nella laguna.

Scendiamo a Passo Staulanza, il sentiero inzuppato dalla pioggia è scivoloso, e le radici dei larici offrono tante occasioni per scivolare. Il percorso è stupendo, incontriamo funghi marmotte e falchi. Non mi stanco di contemplare i pinnacoli di roccia aguzza o le imponenti pareti verticali ed il paesaggio di un verde sempre vario: sento di assumere la vibrazione del luogo, ora la luminosa struggenza dei ghiaioni, ora il buio delle pinete, oggi, con la consapevolezza di star terminando una esperienza importante. E' in questo andare puro e semplice, nel mutare della luce credo sia nascosto il piacere del mio camminare.

Traversiamo a sud del Monte Crot e la Malga Vescovà ci offre i suoi prodotti.
Affrontiamo così la lunga salita verso il Coldai. Prima della forcella un altro regalo: due marmotte giocano vicino al sentiero, non si impressionano degli spettatori e continuano sinuose a muoversi tra i massi di calcare. Camminiamo sereni. E' una bella sensazione aver condiviso questi giorni insieme, commentiamo felici.

Abbiamo misurato e gestito le nostre forze, siamo rilassati e per nulla affaticati: come sempre bisogna fare quando si cerca anche un "altro" cammino, dopo giornate di silenzi e di ali aperte, sorgenti d'acqua, piccoli pensieri….. quelli che nessuno oserebbe profanare.

La forcella Coldai ci saluta con raffiche di vento freddo e ci ricorda che siamo ai piedi della grande Civetta. Il piccolo specchio d'acqua appare all'improvviso, come un'oasi, in mezzo a pietraie sconfinate, a due passi dalla storica "parete delle pareti" la nord ovest del Civetta. Lo ha generato una lingua glaciale posta alla base dell'imponente Torre Coldai. Le acque di fusione alimentano il bacino, che scorrendo tra le ghiaie, vengono purificate e donano al lago i colori del mare. Era il luogo preferito dal mostruso drago che viveva alla base della catena settentrionale del Civetta. I valligiani lo temevano perché sputava fuoco e spaventava gli animali. Ma in realtà l'orribile creatura era assolutamente pacifica, amava sorvolare le montagne ed i paesi: solo la fantasia perversa degli uomini gli aveva trasferito le proprie brutalità. Ma sparì all'improvviso per nascondersi nel suo gelido rifugio.

Pranziamo, mentre i nostri sguardi accarezzano le imponenti torri Coldai, Alleghe e Valgrande. Rompiamo la frescura con un te, scattiamo le ultime immagini e cerchiamo il sentiero che ci porterà ai Piani di Pezzè, mentre a riva qualcuno tenta timidamente di abbronzarsi. Dall'intrico di tracce con bussola e carta alla mano, rintracciamo la nostra strada, svalichiamo tra cima Ovest Coldai ed la mitica Civetta. Il sentiero è incassato nella gola e facciamo ricorso alle mani per perdere quota. Il lago di Alleghe in fondo alla valle è quieto, non ha ricordi della frana caduta dal monte Piz che lo ha originato, sbarrando il corso del Cordevole e seppellendo tre villaggi.

Il nostro passo è più lento, non abbiamo molta voglia di tornare all'asfalto e alle auto. L'equilibrio che questo magico trek ha creato tra noi è molto rassicurante. Siamo diventati parte della strada, l'abbiamo masticata giorno dopo giorno, ed abbiamo scoperto quanto poco ci serve per attendere, dopo la notte, una nuova alba, e questo legame, forse, ci ha un po' anche cambiato. Ma al Garnì ci aspettano gli amici e dobbiamo scendere. Guadagniamo il sentiero nel bosco, la vegetazione si adegua al cambio di altitudine, scomparsi i larici e gli abeti ed una moltitudine di faggi, ginepri odorosi, aceri…..ci accompagnano a valle. Il sottobosco è tappezzato di fiori.

Camminiamo in un silenzio compatto, meraviglioso, via via che la strada si snoda nel bosco. Sui costoni le torri e le canne d'organo della Civetta abbacinati dal sole agostano, esplodono con i colori del granito. Grandiosi alberi ci accompagnano scendendo, e mi tornano in mente i riti eseguiti dai druidi, un popolo che dava valore sacro ai pachidermi verdi. Credevano che le radici arrivassero sino al centro della terra e così ancorati alla Grande Madre svolgevano cerimonie sacre nei boschi: erano capaci di "sentire" i fiotti di linfa che scorrevano sotto la scorza.

L'ultima foto di gruppo pur con la consapevolezza che non sono importanti le immagini catturate, ma l'esperienza vissuta, i ricordi e l'immensa gioia di aver goduto a pieno la strada, che……a volte può nascondere altre gioie e dischiudere un nuovo significato nella nostra esistenza.

A questo punto forse è tutto finito, ci resta la memoria di questa impresa e per il futuro sarà ancora più romantico spingersi dentro scenari di ineguagliabile bellezza: scalare dorsali, vincere pendii, cavalcare creste, raggiungere vette dove si respira solo roccia e cielo.

Mettiamo "gli ultimi passi di chi non vuol tornare". La funivia ai Piani di Pezzè ci costringe ad aprire i palmi delle mani ed a liberare il sentiero che vi avevamo custodito. Velocemente siamo a quota 1000 m e scolpiamo la parola fine a questo "magico trek".

Rosa, 08/10/2001