La scoperta delle castagne
I racconti del Resegone
I bambini sono moderatamente curiosi, hanno perso fin dalla prima infanzia la loro verginità alimentare : hanno già assaggiato di tutto, dai gelati color puffo ai succhi di frutta tropicali. Eppure quel discreto sfumacchiare nell'aria umida e nebbiosa ed il baluginare di braci di legno nel grande focolare ferroso esercitano ancora il loro fascino. Diecimila per un involtino di due etti, contenuto a caro prezzo di un tollino consunto, riempito da mani svelte e un po' annerite.
I bambini mangiano : le caldarroste sono calde nella mano, sotto la scorza bruciacchiata sta il tesoro giallo bruno del frutto, è bello pescare a turno nel cartoccio, eppoi i nonni non fanno mai problemi a comprare. Per molti, neppure vecchi, son ricordi che rimandano a pochi anni fa, quando le castagne non erano un contorno o un diversivo per chi è già sazio di roba da supermercato. Erano una riserva importante. Ma le caldarroste cittadine son tanto grosse che sembrano finte, niente a che fare con quelle castagnucce magre che tiravo fuori con attenzione, per non pungermi le dita, dai ricci mezzi sfatti sul sentiero, umidi di piogge e fanghiglia, a stagione avanzata.
Castagne e latte, farina di castagne, castagne lesse e castagne secche, da mettere a bagno o da provarci coi denti, per chi non teme di mettere a dura prova l'ultima otturazione. Ma chi glielo spiega ai bambini metropolitani, infilati nei seggiolini degli enormi carrelli da ipermercato, abituati a veder caricare in pochi minuti decine di articoli tutti colorati con tanto di musichetta di sottofondo, che i loro coetanei di cinquant'anni fa passavano tante ore tra settembre ed ottobre a chinar la schiena per riempire il sacco da portare a casa ? E poi c'era da far essiccare con prudenza nel fienile o nel sottotetto, lontano da topolini e roditori, facendo attenzione a rivoltare per bene e a scartare quelle col buchino, che non rovinassero le altre vicine di arella…
Quasi mai ho sentito di qualcuno che raccontasse dell'economia di montagna, oggi che si vuole tanto parlare di novecento. Eppure per capire l'età e la diffusione degli alpeggi a media valle, basta guardare gli alberi d'intorno. Ogni insediamento stabile ha le sue brave sentinelle dalle grandi foglie venate, spesso pluricentenarie. Ci sono insediamenti che letteralmente vivevano del commercio di castagne. Appena sotto Pescarzo, in Val Camonica, in una zona da sempre vocata alla coltivazione, dove migliaia i piante prosperano da secoli, i raccoglitori hanno costruito perfino un piccolo santuario, per non perdere messa durante la stagione della raccolta.
Patate e castagne, melica e segale, ecco il quartetto che ha nutrito generazioni di valligiani delle Alpi e degli Appennini.
Ogni volta guardo con stupore e riconoscenza il frutto bruno e luccicante, mentre cammino smuovendo con bastone il fogliame appassito, come un bambino sono felice quando ne trovo qualcuna bella grossa. Mi sembra di aver trovato un antidoto alla povertà del cuore, una bellezza nascosta da spine verdi e nere. Così come i nostri antenati impiantavano accanto alla loro povera abitazione una garanzia di pane periodico. Basta un coltellino ed un po' di fuoco, e anche un poveraccio assapora un mangiare da re.
Marco Simi
Marco Simi, 12/09/2001