E' troppo bello per pensarci ancora

La parete d'argento è qui tutt'intorno a me, pulita e lavorata per migliaia di anni dall'acqua e dal vento che ne hanno disegnato la verticalità. Aggiro uno spigolo, spacco con le gambe e arrivo in sosta; sbuffo un po' e dondolo un po', tanto appeso a questi due chiodini vecchi e ritorti (ma terranno?).
Non un suono, più giù gli alberi si agitano piano e il mio respiro, che si va tranquillizzando, viene portato via in vaghe onde invisibili da un'aria tiepida e buona.
La corda scorre nel moschettone lenta e senza strappi, mentre recupero Olivier che sale alla sua maniera: sicuro e posato. Non lo vedo, ma sento, dal rumore rassicurante della ferraglia che si porta addosso, che si sta avvicinando. Poi gli sguardi si incrociano lesti, un sorriso appena abbozzato e scivola già verso l'alto; torno a starmene nuovamente tranquillo e, come scriveva Giampiero Motti, a pensare a chi è sempre dolce pensare in questi momenti, mentre milioni di stelle pulsanti proiettano la mia ombra su questo schermo di calcare bianco.
Olivier da qualche parte lassù mi chiama, tolgo tutto, un'ultima occhiata al nodo e ricomincio a salire…, mi appendo, mi tiro sul cordino dell'ultima sosta e sono fuori.
Sono fuori e c'è un odore tutt'intorno, un odore di vita nuova, come di erba appena tagliata, o di sottobosco umido. Il francese, con quei suoi occhi chiari accesi dal sorriso, mi guarda divertito da sotto il caschetto sghembo e senza parlare ci scambiamo una stretta di mano fortissima. "
Quell'anno finì così, nell'imminenza di un periodo nuovo carico di incognite. Terminò con una stretta di mano che era poi un abbraccio; la stagione delle "vibranti e libere corse sulle rocce tormentate" si concluse in quell'abbraccio, un abbraccio che voleva essere un arrivederci, un torna presto, un rimani!, ma che intuivamo entrambi essere invece un addio e per questo il cuore sanguinava e le parole non uscivano fuori.
Non facemmo di più su quel pulpito scintillante sospeso nel cielo. Rimanemmo seduti là, tra l'erba alta e morbida, a guardare i nostri ricordi (di bevute, di avventure di colori, di precipizi e di paure) che si riflettevano nel fioco tremolare delle luci degli uomini addormentati laggiù nella pianura.
Rimanemmo seduti là a lungo, sovrastati dalla smisurata vastità della notte ai nostri piedi, sovrastati dalla tenerezza di quel momento di compagnia e calore.
"E quando viene il giorno chiaro e tu ti accosti leggera rupe, è troppo bello per pensarci ancora."
(Cesare Pavese)
Fu
Fu, 01/01/2000