Donne in montagna
Per il Marius il problema non si poneva. Donne, in montagna? Puah! Neanche a parlarne.
Io giocavo a fare il bel tenebroso e non mi sbilanciavo. In fondo stavo bene da solo, le ragazze erano un aspetto bello e misterioso della vita, ma da andarci cauti. In ogni caso la chiave della cà concessa dallo zio mi permetteva di calare un asso vincente in qualche mano della partita degli affetti. Sabato vado su a vedere se c'è ancora neve. Ti piacerebbe accompagnarmi? C'è da camminare poco, e poi c'è un silenzio…. Non era solo un'esca, ma anche l'offerta di una concezione di mondo. Cercavo affinità elettive, alla buona. Chi sposerebbe una donna che non sopporta la montagna?
La cà era un valore aggiunto, ma c'era di più. Andare con una donna in montagna, sia essa morosa ufficiale, moglie effettiva, simpatia in divenire, neo-coppia e/o tutte le altre sfumature possibili, significava poterla osservare fuori dal solito ambiente, conoscerne reazioni, la disponibilità o meno a coinvolgersi in situazioni diverse. La montagna, insomma, è un potente alleato per l'uomo medio, cioè quell'essere indifeso che cerca di darsi un contegno ma in fondo non sa bene come comportarsi con le donne e le loro mattane. Però sa di poter imparare molto osservando, comportandosi di conseguenza.
Un fine settimana in quattro o cinque alla cà, specie con un po' di cattivo tempo, fa emergere rapidamente le qualità migliori e peggiori di ogni essere umano. E, sostiene Marius, in particolare di ogni donna. La prova-legna è un buon inizio. Per fare il fuoco (che scalda tutti) ci vuole la legna, di quella secca. Per qualcuno è logico darsi da fare per raccoglierla. Per altri la legna è solo quella da prendere dalla fascina già pronta e da aggiungere alla stufa o al camino. Seconda stazione: pranzo o cena in gruppo. Ognuno per sé, come roditori in un angolino oppure scambi culturali e condivisione in gruppo previa esposizione delle cibarie sul tavolo? Terza fermata: lavaggio gamelle, piatti, e quant'altro: a chi tocca? L'acqua calda da stufa in realtà ha poco di caldo, bisogna risciacquare nella pozza del torrente, ci sono volontari?
Quarto in montagna capitano sempre imprevisti. E' una metafora perfetta della vita di tutti i giorni. Quando qualcosa spezza l'abitudine, accresce le incertezze, che fare? Quando il tempo gira e cambia di colpo? Bisogna attendere che passi, con pazienza. Giocare a dama, parlare di tutto e di niente, sonnecchiare. Non è indispensabile fare qualcosa, a volte bisogna solo attendere. Per molti (molte) star fermi e dipendere da altro è cosa praticamente impossibile.
Dulcis in fundo, il silenzio. Non tutti sanno farci bene i conti. Mantenere il silenzio è tipico dei monaci e di quelli che vivono in baita. Si parla solo nel tempo di preghiera o per le cose di lavoro. Non per riempire il silenzio, che ci avvolge, noi ed i nostri atti. Un esempio? E' normale che al mattino presto il nostro eroe si stiracchi con dovizia, scenda di sotto e riattizzi il fuoco, mettendo su un bel caffettino. Appena venuto su cosa fa? Ne porge una tazza con gesto galante alla tipa. Da un mucchio informe di coperte, sacco a pelo, dove spuntano capelli tipo medusa, si alza una voce lamentosa : ".. che schifo, fa freddo, non ho dormito niente su questo schifo di letto, e poi c'è troppo silenzio .." Quasi quasi vuoto la gamella bollente sull'ammasso. Il fatto che fuori i colori siano meglio che in technicolor, il sole stia per arrivare, la natura si apra ad un nuovo giorno sono per lei fattori secondari. Anche se è carina, lasciate stare. Non fa per voi. Troppo civilizzata.
Parlavo con gusto delle donne altrui, ma poi capitò un giorno in cui mi accadde di guardare una che contemporaneamente guardava me. Era uno sguardo strano, roba seria, tanto che, per sondare il terreno, gli scrissi due righe. La sventurata rispose. Dopo qualche incontro interlocutorio dalle sue parti, gettai lì la proposta: perché non andiamo su alla cà?
L'appuntamento era alle 15 in stazione. Lei mi aspettava in Centrale, io l'attendevo a Porta Garibaldi, l'altra stazione di Milano. Pensammo reciprocamente ad un bidone. Poi, per fortuna, presi il metrò per controllare. La vidi nel sotterraneo, seduta per terra col sacco vicino ad un'edicola. Mi aveva aspettato! E così ci trovammo davanti ad un fuoco abbondante, a parlare, e a guardarci da vicino. Fuori cominciava a diluviare. Era bello, la cà sembrava piena di gente, ma eravamo solo in due. Soli si sta bene, in montagna, ma in certi casi è meglio accompagnati. E pochi mesi dopo, il perché non l'ho ancora ben capito, i due singoli diventavano una coppia ufficiale, con prete, amici, e tutto il resto, tranne che i ghelli. Ancora adesso mi chiedo come è successo. E' un mistero. Un mistero vero. Il fuoco, la cà, il silenzio, sono un ottimo contorno al mistero.
Adesso, dall'alto della mia vasta esperienza, mi permetto si suggerire a tante coppiettine appiccicose di fare sempre il test prematrimoniale, prima di convolare a giuste nozze. Lasciate stare gli psicologi, meglio qualche giorno alla cà, vi lascio le chiavi.
Marco Simi
Marco Simi, 20/03/2001