Acque
I racconti del Resegone

Avete mai provato, amici, a bere in ginocchio, direttamente dal filo della debole corrente che lambisce la riva, tra i ciuffi d'erba e le rose di natale che appaiono nella faggeta ? E' un microcosmo quello che si sorseggia, pur facendo attenzione : acqua, acqua diaccia, ma con dentro inevitabili e microscopiche particelle di foglie turbinanti, lievissima fanghiglia, la sabbietta del fondo che riluce. Comunione con le acque che sgorgano dalla vena pochi metri sopra, unione intima con i segreti della roccia calcarea, sali minerali, carbonati, percorsi oscuri nel ventre della montagna che sovrasta.
Salendo dal paese verso la cà il torrente appare subito. E' imbrigliato da sponde grigie, bruttine, mannaggia al cemento. Ma quando finisce il parcheggio delle poche auto giunte fino al termine dell'abitato, ecco la soglia. Un ponticello a schiena d'asino (forse tre, quattrocento anni, chissà ..) che tutti chiamano "ponte romano", anche se i pochi romani che l'hanno valicato a sentire la Gina (detta sciura radar) pare sian stati i commilitoni del gestore del crotto appena sopra, ma portavano le vibram e qualche chilo di luganega nel sacco , mica le calighe ed il gladio, va là.
Dal ponte, prima di imboccare la mulattiera che sale, sempre si sputa nelle acque. I vecchi del paese ed i vecchi camminatori lo sanno, ed eseguono il rito, puntuali. Perché ? Mistero. Forse una lontanissima eco dell'obolo ad un nocchiere infernale, a qualche divinità delle acque, uno sghiribizzo apotropaico. Il Giusèpp, che scatarra rumorosamente sotto il peso di una delle tante fascine della giornata, dice che porta bene.
E le acque accompagnano il viandante, lungo il percorso che sale al prà della cà, pozze lontane e lucenti quando ci si allontana dal torrente, gorgoglio discreto quando ci si avvicina e lo si valica, vent'anni fa con guadi fatti di sassi, oggi grazie ad un ponticello degli alpini.
Acque sempre nuove e diverse. Scoperta delle prime camminate sulla mulattiera che da sempre han chiamato "la" San Carlo, memoria possibile delle traversate del Borromeo, a dorso di mulo, verso i piccoli paesini della Diocesi.
Scoperte indelebili : come la sorpresa di vedere finalmente una sorgente. Quanti bambini non hanno avuto la grazia di vederne una? Il sentiero la lambisce, quell'anfratto nerastro e mucillaginoso, rivoli che sembrano uscire dal nulla, che trasudano dai pori della roccia frantumata, tra le radici abbarbicate dei faggi.
L'acqua esce continua, ininterrotta. "… per sempre ?.." chiedevo io. "… per sempre …" , confermava mio padre. Ecco una prima raffigurazione dell'eternità. Quanto dura per sempre ?
Sotto una pioggia battente, battuti da scrosci improvvisi sospinti dalle ventate che giungevano dall'alto, scendevamo in due, dopo una veglia davanti alle braci, poche parole e una certezza nuova, una decisione dentro. I due rami del torrente straripati, l'obbligo del sentiero in costa, fango fin dentro la camicia. Ma poi la corriera presa per un pelo, il treno verso la pianura, le calze strizzate con discrezione nel lavabo della toilette di seconda classe. E il ricordo di quell'acqua che ci unisce, ci compenetra, non ci abbandona. Dopo diciotto anni e quattro figli.
Marco Simi
Marco Simi, 01/01/2001