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Ultima Thule. Il Luogo Ideale della mitologia, il punto più lontano, la meta di ogni viaggio. Come lo Shangri-la delle popolazioni Himalayane o la Valle Perduta dei Walser. Potrebbe essere anche solo la collina dietro casa. Ma per ognuno è il luogo dove si desidera tornare.
Noi veniamo di lì: thuler.

L'angelo custode

...e aggiunse, ridendo. “Sarà stato il tuo angelo custode”.

Fu
Mi ricordavo perfettamente. Aveva detto. “Al secondo bivio, mi raccomando, al secondo bivio,
prendi la biforcazione a destra. Se giri troppo presto poi ti ritrovi infognato in un sentieraccio
fradicio e franoso”.
Io, a quel punto, sorridendo gli avevo detto: “Speriamo che almeno il cellulare prenda.”
Il padrone del bar si era messo a ridere.
“Sì, sì, i cellulari prendono. E non saresti neanche il primo che chiama col cellulare per farsi venire
a recuperare dall’elicottero in quel punto”. E giù un’altra risata.
Tutto questo era successo poche ore prima, giù al bar nella piazzetta del paese, poco lontano
dall’attacco del sentiero. Mi ero fermato a mangiare qualcosa e a chiedere informazioni sul
percorso. A guardare la cartina, appesa, ben distesa, sotto vetro, ad una parete del bar, con il
sentiero ben evidenziato in rosso, mi era sembrato tutto molto chiaro e facile.
La salita nel bosco fino ad incrociare il ponticello. Il lungo percorso di fianco al torrente fino al lago
che si costeggiava per tre quarti del perimetro. Infine l’ultimo pezzo su traccia, fino al bivacco dove
contavo di passare la notte.
Già, tutto chiaro e facile, giù al bar, sorseggiando un caffè, nell’aria tersa e fresca del mattino.
Salendo le cose erano cambiate.
Un paio di volte avevo sbagliato sentiero e metri di inutile dislivello si erano sommati a quelli
necessari per arrivare al bivacco.
Poi era salita la nebbia.
Appena prima di arrivare al lago, in un attimo, il cielo si era coperto e di colpo il panorama era
cambiato.
Mentre facevo il giro del lago avevo perso i punti di riferimento. Quell’anfiteatro roccioso nel quale
mi trovavo mi sembrava tutto uguale.
Avevo seguito la traccia più evidente. Ma era veramente il sentiero giusto?
Cominciavo ad essere stanco.
Ormai ero in cammino da diverse ore, colpa anche degli errori commessi e la nebbia aveva portato
con sé anche un filo di ansia.
Cominciai a pensare di tornare indietro.
Già. Tornare indietro. E poi? Arrivare in paese e andare a dormire dove? L’ultima corriera era di
sicuro già partita e a parte il bar in piazza e il negozio di alimentari non mi sembrava di avere visto
altro.
Continuavo a salire. La traccia mi sembrava buona ma adesso era l’avvertimento del barista a
preoccuparmi: “Mi raccomando, al secondo bivio”.
Ma il primo qual era? Forse quella minuscola traccia che si staccava dalla mia, era un sentiero? Era
il “primo bivio”?
Guardai l’orologio.
Era passata più di un’ora da quando avevo lasciato il lago. Troppo.
Non solo avevo perso il secondo bivio, ma non avevo neanche individuato il primo.
L’ansia aumentava di intensità, insieme alla nebbia che diventava più fitta.
Mi fermai a bere un sorso d’acqua.. Eravamo in autunno, le giornate duravano meno, di lì a poco
sarebbe diventato buio.
Dovevo prendere una decisione velocemente.
Mi guardai intorno di nuovo e, in uno squarcio improvviso tra le nuvole, vidi, poco distante da me
un evidente ometto.
Un ometto! Un amico!
Andai velocemente verso l’ometto prima che fosse inghiottito di nuovo dalla nebbia.
Era un cumulo di pietre costruito sopra uno strano sasso, completamente piatto e verticale da un lato
e invece a semicerchio dall’altra parte.
Bene. Quello “era” un sentiero. Ma era il mio? Ero sulla strada giusta?

Ero proprio stanco e a questo punto non ero così sicuro di trovare la traccia giusta per tornare al
lago, se avessi voluto andare a valle. Maledetta nebbia.
L’ansia si stava trasformando in panico, che è un cattivo consigliere in genere, pessimo in
montagna.
Di colpo, sopra la mia testa sentii l’eco di rumore di sassi smossi.
Senza riflettere mi trovai in piedi.
“Ehilà, c’è qualcuno?”
Il rumore di sassi si interruppe.
“Salve. Cosa c’è?” Mi rispose una voce.
“Non riesco a trovare il sentiero per il bivacco” cercai di dare un tono controllato alla mia voce.
Non volevo si capisse che ormai stavo cedendo al panico
“Dove ti trovi?”
“Sono accanto ad un ometto piuttosto grosso”.
“Un ometto messo sopra un sasso piatto?”
“Sì, esatto!”
“E’ facile. Dando le spalle al lato piatto devi camminare in costa fino a quando trovi il fianco della
montagna. Alla fine della parte in piano incroci il sentiero per il bivacco”.
Mi misi lo zaino in spalla e freneticamente percorsi quello spazio. Intanto parlavo per paura di
perdere il contatto con chi mi stava aiutando.
“Dunque… allora… devo fare un pezzo in piano…se non ci si fosse messa la nebbia…ah, ecco,
intravedo una parete rocciosa… sì, sì, ecco il sentiero… sì, sì è questo senza dubbio… grazie
mille”.
“Prego, prego, ciao”.
Non ne potevo più: Avevo solo voglia di arrivare al bivacco, di cambiarmi la maglietta fradicia di
sudore, umidità, paura e distendermi nel tepore del sacco a pelo.
Aggredii quell’ultimo tratto di sentiero con un passo furibondo e di lì a poco, ad una svolta, mi
trovai davanti il bivacco, dal cui camino usciva un filo di fumo. E incredibilmente fuori dalla
nebbia. Sopra di me un cielo sereno che si stava preparando per il tramonto, sotto, un mare infinito
di nuvole.
Tirai un sospiro. Ero arrivato. Finalmente.
Entrai nel bivacco e vi trovai due ragazzi che stavano caricando di legna la stufa.
“Ciao” dissi “Allora non sono l’unico pazzo ad essere in giro per monti, oggi.”
“No, come vedi ci siamo anche noi” mi rispose il più alto dei due. “Anzi, noi siamo più matti di te,
perché siamo qui da due giorni. Io sono Carlo e lui è Enrico” si presentarono.
“Io sono Gabriele. E chi devo ringraziare per le indicazioni di prima? Mi avete veramente tirato
fuori dai guai”.
I due si guardarono: “Che indicazioni?”
“Ma sì, prima, all’ometto…” e gli raccontai quello che era successo poc’anzi.
“Noi siamo dentro al bivacco da un paio d’ore” disse Carlo.
“E allora chi è stato ad aiutarmi? Avete visto qualcun altro?”
“No, nessuno” rispose Enrico.
E aggiunse, ridendo. “Sarà stato il tuo angelo custode”.
“Eh già… l’angelo custode…”
Scossi la testa.
Intanto mi ero cambiato. Avevo infilato una maglietta pulita, un pile, calzettoni asciutti e mi ero
seduto anch’io davanti alla stufa.
Enrico accese un paio di candele. Ormai il buio stava prendendo il sopravvento e dalla piccola
finestra si intuiva l’arrivo della notte.
Mi stavo completamente rilassando, finalmente.
Di nuovo scossi la testa… angeli custodi…

Carlo mi guardò seriamente: “Guarda che sono cose che capitano di frequente. Come ti abbiamo
detto, noi siamo qui da un paio di giorni e non abbiamo visto nessun altro. Il sentiero dal quale sei
arrivato tu passa dal bivacco e va in cima, qui sopra e basta. Quindi è possibile che chi ti ha aiutato
sia il tuo angelo custode”.
Non avevo voglia di intavolare discussioni teologiche e poi mi sembrava fuori luogo contestare
un’affermazione quando chi la faceva ne sembrava così convinto.
“Certo” dissi conciliante “tutto può essere”.
Mi godevo il caldo buono della stufa, quel senso di tranquillità, in contrasto con la tensione di poco
prima. Girai lo sguardo intorno per osservare l’essenzialità accogliente di quel bivacco di montagna:
la stufa, il tavolaccio, la mensola con le pentole e qualche genere di prima necessità, le tre brandine
a castello, la piccola finestra.
Fu a quel punto che la vidi. Una lucina che bucava il buio della notte autunnale.
Una lucina che si muoveva fuori dal bivacco.
Mi alzai di scatto ed uscii.
Quando fui fuori capii chiaramente. Quella lucina altro non era che la pila frontale di qualcuno che
camminando sul sentiero di fianco al bivacco lo aveva superato e ora stava andando verso valle.
“Ehilà” chiamai.
La lucina si fermò.
“Salve” rispose.
Non sapevo cosa dire e così riciclai la battuta usata con Carlo ed Enrico.
“Allora non sono l’unico pazzo ad essere in giro per monti, oggi”.
“Veramente io sono in giro per lavoro” ridacchiò la voce.
“Per lavoro?”
“Sì. Sono un fotografo e dovevo realizzare foto di montagne nelle nuvole… cose così”.
”Non ti fermi al bivacco? Il sentiero è brutto, prima mi sono quasi perso”.
“Ah, allora eri tu quello al quale ho dato indicazioni prima… non ti preoccupare le conosco
piuttosto bene queste montagne. Ci giro sempre, di giorno e di notte, per fare le foto”.
Ecco svelato il mistero. Altro che angelo custode. Il mio soccorritore era un fotografo di montagna,
esperto conoscitore della zona.
“Allora grazie per prima” gli dissi.
“Figurati. Buona permanenza al bivacco. Io vado, mi aspettano”.
La lucina si rimise in movimento e poco prima che fosse inghiottita dal buio, pensai che non gli
avevo neanche chiesto il nome.
“Scusa… senti… “ gridai “non ti ho neanche chiesto come ti chiami…”
“Angelo” mi rispose la lucina poco prima di sparire “il mio nome è Angelo”.


Gabriele

Gabriele, 24/11/2007