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Ultima Thule. Il Luogo Ideale della mitologia, il punto più lontano, la meta di ogni viaggio. Come lo Shangri-la delle popolazioni Himalayane o la Valle Perduta dei Walser. Potrebbe essere anche solo la collina dietro casa. Ma per ognuno è il luogo dove si desidera tornare.
Noi veniamo di lì: thuler.

Una festa a sorpresa

Metafore dei monti: anche un sentiero ignoto e periglioso che si perde nel nulla può condurre al più lieto evento delle valli.

Fu
Alta via dei monti Lariani, pomeriggio di una torrida estate. Due persone partite dalle dolci e gentili sponde del lago ora vagano smarrite tra cime brulle e sfasciumi in cerca di una traccia, sudando, incedendo a fatica tra rovi, affondando in molli acquitrini, attraversando costoni di pietre dall’equilibrio alquanto precario.

Come siamo giunti qui? E soprattutto, come ne usciremo? Del resto lo sapevo già in partenza, la famosa “guida del Mazzoleni” mi aveva già avvertito a chiare parole:

Qui non troviamo gli ameni laghetti circondati da idilliache radure e pinete dell’Engadina, ne gli estesi altipiani e ghiacciai della val Malenco, nemmeno le estreme pareti del Masino e della Bregaglia. Il fascino di queste vallate consiste nell’asprezza delle forme, nelle sensazioni di solitudine e di lontananza che alcuni reconditi recessi sanno ancora ispirare.

Bellissimo, mi ero detto, ci dobbiamo andare! Ma a quei tempi non ne sapevamo ancora molto di wilderness e orientamento; la Valgrande era ancora un nome sconosciuto ed i concetti di sentiero e di segnavia erano ancora ben saldi nelle nostre menti di acerbi escursionisti. Certo che, tuffarsi in quell’ambiente così scabro e desolato aveva un indubbio fascino e questa prospettiva di un nuovo modo di andare per monti cominciava a farsi strada nella mia mente. Tuttavia, vedere il pomeriggio che rapidamente si consumava, annusare l’aria d’incombenti temporali e non riuscire per ore a trovare una via d’uscita da quel posto enigmatico cominciava a sollevare una certa tensione.

Come uscirne, dunque? La carta topografica ormai aveva fallito, indicando un sentiero che da qualche ora si era dissolto nel nulla. All’inizio la traccia era lì, consistente sotto i nostri piedi, piccola e ben definita: ma come per scherzo si era andata assottigliando sempre di più, trasformandosi prima in un accenno di terra battuta, poi in un vago calpestio sull’erba di animali, poi più niente. Più volte siamo tornati sui nostri passi. E ancora più volte abbiamo proceduto in avanti dentro la traccia che spariva nel nulla. Ma ogni volta peggiorava sempre di più, come per un arcano sortilegio di qualche fauno dispettoso. Molto dispettoso.

Ed adesso eccoci ancora qui, nell’acquitrino, giù nel fango con tutto il polpaccio. Fastidioso, e faticoso. Avanti qualche centinaio di metri in questo modo, una sofferenza, e alla fine? Un imponente strapiombo di roccia si para davanti sbarrandoci la strada. Siamo di nuovo al punto di partenza. Sentieri lontani chilometri ma ben visibili sulla costa opposta della valle continuano a sorriderci, quasi rimproverandoci della nostra inabilità a trovare la strada. Ormai è giunta da un pezzo l’ora di rinunciare alla nostra direzione originaria e di trovare la strada più agevole per uscire dal labirinto. In qualsiasi modo. Proviamo a scendere. Una cinquantina di metri più in basso esultiamo: eccola! La nostra traccia! si infila nelle sterpaglie e poi più in basso scende nel bosco Riprendiamo rinfrancati, con la speranza che rinviene assieme ad un improvviso rilassamento e ottimismo. Ma presto la vegetazione si infittisce al punto di fare una fatica disumana per superarla: sterpi spinosi fastidiosissimi rigano la pelle, muri di sterpaglia si riversano su di noi. Via! Via, ancora! Via gli sterpi a colpi di bastone! Ma da quanto tempo non passa qualcuno qui? Gli arbusti si infittiscono ancora di più fino a soffocarci, sommergerci, come fossero mostri animati. No, basta, basta. Anche di qui non si passa, torniamo indietro!

Per la quarta volta siamo al punto di prima, ora esausti, dopo aver girato su noi stessi a lungo, rintronati dal sole, feriti nell’orgoglio per non riuscire a spostarci da quel maledetto punto senza incontrare un ostacolo invalicabile in qualunque direzione si vada. Il sorriso del sentiero all’orizzonte si è trasformato in un ghigno. Tornare indietro? Troppo lungo, è tardi. Si discute ancora, in tensione. Nuvole scure e lampi lontani. Alla fine saliamo. Non si parla, risparmiamo fiato ed energia, l’ultima rimasta. La salita è impervia, ancora rovi, ancora acquitrini, rocce da aggirare, avvallamenti nascosti. Passa altro tempo, infinito: viene sera, siamo distrutti, la fronte mi ribolle, ma siamo prossimi a scollinare.

E a vedere cosa c’è dietro, perché oramai non immaginiamo più cosa ci può attendere.

Al valico, come per un vero scherzo degno della Regina delle Fate, prima degli ultimi metri, ci avvolge una fitta nebbia. Non si vede più niente oltre il colle. Menti annebbiate, monte nebbioso.

Ma questo paesaggio voleva essere uno scenografico segno del destino. E così, rapidamente, come il sole può squarciare d’improvviso una nube o un fiotto d’acqua di un torrente scavalcare un balzo, la ruota della sorte inizia a girare in senso opposto: una flebile traccia diventa sentiero in terra battuta, si ingrossa, e dolcemente plana su una mulattiera. Ed in fondo eccoti un alpeggio! Una vecchia e due bambini che si lanciano secchiate di acqua sporca di fango appaiono dal nulla, si fermano e ci guardano: andiamo incontro a loro con gioia, correndo. La vecchia, senza lasciarci il tempo di salutare, ci grida spalancando una bocca con al massimo 3 denti (storti): “Alorà! Andè in giòo andè in giòo al paès che ghè la festa! La festa!!!”. Non capiamo, ma annuiamo. Procediamo lungo lo sterrato mentre la vecchia continua a strillare ai bambini parole ignote.

Non molte cose sono comprensibili. Dove siamo? Italia? Svizzera? traghettati in un’altra dimensione? Cosa c’entra la festa? Che importa: siamo su una solida mulattiera. Di lì a poco compaiono le prime baite e l’arcano si svela: decine di tende, focolari, musica, un palco abbozzato, una baita piena di gente che canta e vocia allegra. Festa del paese? Macché, non c’è nemmeno un paese! Sembra un’adunata di tende attorno a una enorme botte di vino con tanta allegria intorno. Pochi minuti fa eravamo stremati dalla fatica, ora un’ironica euforia ci invade come un’onda di piena.

E allora giù! giù! giù! giù! giù! dentro nella prima baita! Vino e gazzosa convergono a fiumi dentro ciotole di plastica verde marcio, che ci vengono offerte come magico nettare rinvigorente. Giovani e meno giovani si fondono con insolita armonia in un unico e accorato momento sociale.

Partecipiamo ad esso con gioia e fervore.

Le energie perse tornano a far capolino. Allegria ovunque. Nessuno fa a caso a come sbraniamo una costata e tracanniamo vino come nomadi giunti ad un’oasi risanatrice. Nessuno sa cosa significhi per noi questa festa.

Ancora non sappiamo dove siamo. La parlata è un dialetto bastardo poco comprensibile. – Ci sai dire dove siamo? Dove sfocia questa Valle? - chiediamo a una giovane locale
- Ah, zò mica io, non zò, non zò
Non importa. E’un mondo a parte. Forse è solo un sogno, forse siamo rimasti bloccati in un dirupo e stiamo già vivendo le immagini di un aldilà. Però! ci metterei la firma per un aldilà di questo tipo! Si beve pure il vino! Ma un’incisione in legno ci riporta alla realtà: su di essa sono ritratti due frati che brindano dicendo: “In cielo non c’è vino, beviamolo sulla terra”. Ok, allora forse non siamo ancora morti.

La sera si consuma in spensierata allegria.

Sfiniti, inebriati, divertiti, sorpresi dalle infinite sfaccettature di una imprevedibile giornata crolliamo in tenda mentre i giovani accanto ululano alla luna.

E l’ultimo pensiero prima di cadere nel sonno è come quelle dodici ore in montagna possano essere degnamente considerate una metafora di vita: sudore, fatica, tensione, incertezza, rabbia. E poi allegria, spensieratezza, ironia. E ancora: determinazione, riflessione, esperienza, crescita. Tutto nell’arco di poche ore, come nell’arco di un’esistenza umana.

Il sonno pesante porta consiglio, mentre fuori di notte la festa impazza. Oberon e Titania litigano, noncuranti degli umani, nel buio del fitto bosco che ci circonda.


Note e percorsi collegati


Alta via dei Monti Lariani (in specifico Val Sanagra e Val Cavargna) e sentiero delle 4 Valli. Il percorso a cui facciamo riferimento ovviamente non è nessuno dei due, bensì una poco ideale via di collegamento da uno all’altro.

San bartolomeo Val Cavargna. la festa suddetta si svolge nella piccola frazione di Malè, presso la Madonna della Salute, in agosto, tutti gli anni.


Itaka

Itaka, 13/04/2004