Un tranquillo week end nell'oscuro
Ma cosa può spingere delle persone che spesso, in superficie, appaiono "quasi" normali a trascorrere ore sotto terra. A cercare cosa? Molti amici me lo chiedono, ed il più delle volte li rimando agli scritti che speleologi ben più autorevoli di me hanno lasciato su stupende pagine.
Ora ci provo io, piccolo speleo della domenica. Ma non racconterò di una grande esplorazione durata anni e anni, ma della mia prima esplorazione durata poche ore, che sono bastate a lasciare dentro di me...
... beh leggete voi :)
"VA BENEEE!!"
In pochi secondi apro il discensore, ci passo la corda, chiudo, via la longe e giù. Sono pochi metri ma l'eccitazione è tanta, troppa. Un piccolo urto con la gamba viene subito a ricordarmi che non sono a casa mia e che la prudenza deve essere sempre più solida e presente della corda che ora vedo scomparire nel buio sotto di me.
Quella grotta era conosciuta dai locali da parecchio tempo, ma era stata accatastata come un "Ouso" (inghiottitoio secondo la terminologia carpinetana) di una trentina di metri di profondità, inesorabilmente chiuso in una strettoia impraticabile. Ci abbiamo lavorato per un pò. Con scalpello e martello, pelle e ossa e... ...la domenica precedente si era riusciti a passare.
Passare. La montagna schiude finalmente la sua intimità di roccia, e sembra invitarci a scoprire qualcosa in più di lei, di quel suo mondo nascosto fatto di calcare e acqua, frane e concrezioni, silenzio e buio. Il buio più impenetrabile che si possa immaginare. Un buio che riempie ogni cosa e che la luce delle nostre carburo cerca timidamente di rischiarare solo il tempo necessario affinché noi, piccoli troglofili improvvisati, possiamo andare un pò più in la, a rischiarare altro buio, un buio che mai finora è stato rischiarato.
La strettoia è veramente terribile. Un budello che nei punti più stretti è poco più largo delle mie spalle. Sono ancora molto inesperto ed ogni centimetro guadagnato mi costerà parecchie energie, insieme a brandelli di tuta e a qualche livido. Uscito da lì il rapporto danni non mi interessa però. Quello che mi interessa è subito davanti ad i miei occhi, dove tre fix tengono tenacemente aggrappata alla roccia una corda da quaranta metri che scende giù nel vuoto attraverso una finestrella che mi fa pensare al rosone di una chiesa.
Marzia, molto più esperta di me, mi aveva atteso pazientemente al di là della strettoia ed ora aveva già montato il discensore col volto raggiante.
Con un rapido gesto porta il sacco sotto di sé e comincia a scendere.
Il sacco contiene altre corde. Corde che serviranno ad armare gli altri pozzi che non sapevamo esistessero, ma di cui le urla di gioia di Andrea, Roberto e Marco 30 metri più in basso, confermano l'esistenza.
Di pozzi ce ne saranno ancora altri tre e la grotta, da 30 diverrà 130
metri di profondità. Non certo un abisso, ma in fondo che importa. E' stata la mia prima uscita da quando ho finito il corso e ho partecipata ad un'esplorazione. Oltre i miei amici di "punta", nessuno prima di me aveva rischiarato quel buio, ed ora la grotta, quasi a contraccambiare il dono non desiderato di quella luce vana, aveva lasciato nella mia anima un pò della sua oscurità e della serena nostalgia che solo ciò che perdurerà a questo tempo può dare.
Roberto
Roberto, 01/06/2000