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Ultima Thule. Il Luogo Ideale della mitologia, il punto più lontano, la meta di ogni viaggio. Come lo Shangri-la delle popolazioni Himalayane o la Valle Perduta dei Walser. Potrebbe essere anche solo la collina dietro casa. Ma per ognuno è il luogo dove si desidera tornare.
Noi veniamo di lì: thuler.

Una non-intervista a Marco Anghileri

Un nuovo amico di thuler.net che risponde da par suo al richiamo dell'Alpe. Vi raccontiamo di lui.

La verità: in Civetta non ci sono mai stato. Tant'è. Ma so, vuoi per le cronache che da qualche parte tutti abbiamo letto, vuoi per qualche foto sbirciata da un libro, da un calendario, al limite, all'entrata di qualche sede del Cai, che laggiù dopo Alleghe e il suo lago, alta sopra i boschi si alza una muraglia luminosa nel cobalto del cielo, e proprio lì su quella parete di milleduecento metri che dà a nord, nell'agosto del '25 il sig. Solleder, a zonzo per crode in compagnia del sig. Lettenbauer, in quindici ore apriva l'epoca del VI grado sulle Alpi.

E la cosa avrebbe continuato ad essere una tra le tante informazioni, presa e rimessa nel cassetto del dimenticatoio, o tutt'al più lasciata a far compagnia alla lista delle cose che si sanno e di quelle che si vorrebbero conoscere un giorno, domani, il mese prossimo, se va bene forse quest'anno, ma che sono lì ad attendere promesse che raramente si mantengono.

Poi mi è successo d'incontrare Marco Anghileri e probabilmente non sarebbe mai stato possibile senza l'esistenza di quella montagna incantata. L'ho incontrato un pomeriggio al Politecnico di Milano, perché gli amici dell'Associazione Gecko l'avevano invitato a raccontarsi e a raccontare le sue storie di montagna.
Sarà che sono uno che si impressiona subito, ma immediatamente, dal fondo di un'aula di nonancoraingegneri, appollaiato sulla finestra, così tra il lusco e il brusco, quel ragazzo mi ha colpito subito per quel modo semplice di parlare di cose straordinarie e straordinariamente difficili, per il sapersi porre senza quella falsa modestia che indispone e senza nemmeno quell'atteggiamento da john wayne delle vette, tipico invece di molti.

Catturati da quell'espressione un po' stupita che sempre gli leggi negli occhi chiari o che puoi indovinare per via del sorriso aperto e dal ciuffo castano irrequieto che sottolineano i gesti e il parlare, una platea di ragazzi milanesi si è scoperta con lui in giro per le Alpi, irresistibilmente trascinati dal susseguirsi di tramonti, amici e salite solitarie descritti di diapositiva in diapositiva.

Così in quella sera ci siamo dati appuntamento per andarlo a trovarlo nella sua Lecco, perché l'idea, neanche del tutto bislacca, era di tentare un'intervista da pubblicare sul sito. L'intervista come immaginavo non è venuta fuori, sapete: quelle del tipo domanda/riposta, di seguito, senza tregua fino a sprofondare a tradimento nelle impietose liste dei materiali, dei cibi, dei ricambi, come se la Storia si ricordasse della canotta e del pedalino.

Meglio, perché quella sera trascorsa tra bottiglie di vino e salumi al tagliere ha visto una tavolata di gente interessata a mettere in discussione una cosa sola: la propria incontentabile passione per le montagne. Ne è nato un dialogo ed un confronto sulle motivazioni dell'andare in montagna, con amici, con i figli, da solo. E abbiamo scoperto un amico, se possiamo dirlo, una persona interessante, con un bel mestiere presso l'azienda di famiglia, la Ande, ed una attitudine naturale per parlare dell'alpinismo con semplicità e coinvolgimento, di un alpinismo che è essenzialmente la sua esperienza. E non so voi, ma a me quando ci si trova a parlare dell'esperienza interessa sempre.

Certo Marco Anghileri è da tutti conosciuto come il primo salitore in solitaria invernale della Civetta per la Solleder, o per il concatenamento delle vie Vinatzer/Messner in Marmolada, Solleder in Civetta e Spigolo Nord Gilberti sull'Agner in 14 ore compresi i trasferimenti, ma già a 19 anni aveva fatto con Lorenzo Mazzoleni la prima ripetizione (invernale e in 4 giorni) della Via Marino Stenico alla Su Alto, e da lì in poi è tutto un indice di nomi e vie quasi sempre in solitaria e spesso d'inverno.

Eppure se in quella pseudointervista non si è precipitati nel profondissimo, noiosissimo abisso dei numeri, dei gradi e dei tempi è stato forse perché alla fine della favola le questioni più urgenti a tema erano altre: la nostalgia per un lungo sogno ormai realizzato, gli stimoli che pungolano le giornate, il valore di quello per cui si impegna la vita tutta, il desiderio di trasmettere e far conoscere il bello. Ecco Marco ci ha parlato di questo e molto altro, mentre di sottofondo trasmettevano De Gregori: Pablo è vivo.

Vivo, come ci si sente vivi quando arrivi in cima alla "tua" via d'inverno, proprio quella che hai avuto in mente per tanto tempo, o come quando arrivi in catena sul tuo primo 8a, o come quando dopo mesi che sei inchiodato fermo da un incidente, una sera decidi e così sul far della sera te ne vai da solo in cima al Resegone e ti siedi in punta a guardarti il sole accartocciarsi all'orizzonte, oppure come quando appeso da qualche parte in falesia con i tuoi allievi della Gamma ne vedi felice i progressi e il gusto che ne nasce. Momenti diversi, sensazioni diverse, ma uguale la soddisfazione, la gioia di vivere.

Questo è l'alpinista che ho conosciuto e che vi racconto: non è introverso, il suo sorriso ti toglie subito dall'imbarazzo di star di fronte a uno di quelli che vanno, abbiamo parlato di suo figlio nato da poco, ci siamo arrischiati nelle mille curiosità sul suo lavoro di produttore di abbigliamento e materiale da montagna.
Le sue solitarie non sono episodi da "grimpeur maudit", piuttosto sono una parte, piccola, di uno che non ha mai smarrito il piacere di andar per monti e di seguire il suo desiderio di felicità. A presto, ancora. Marco.



Fu, 25/01/2002