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Ultima Thule. Il Luogo Ideale della mitologia, il punto più lontano, la meta di ogni viaggio. Come lo Shangri-la delle popolazioni Himalayane o la Valle Perduta dei Walser. Potrebbe essere anche solo la collina dietro casa. Ma per ognuno è il luogo dove si desidera tornare.
Noi veniamo di lì: thuler.

Ficulle 1° Maggio 2008: Mai morire!

\'\'.. tutta è mia casa la montagna, e sponda/ al desiderio il cielo azzuro porge \'\'

Salire fin qui, per incontrare se stessi
Paoletta Salire fin qui, per incontrare se stessi
Capita poi di accorgerti che la realtà è sorprendente. E che ti supera da tutti lati. E la speranza parte sempre da cose così, da qualcosa che c’è e che non ti aspettavi. O per lo meno non così….

Così tra meno di due giorni Olivier si sposa con Silvia; e a me sembra che nel tempo e nella distanza ci si ritrovi sempre di più, persino ora che tu abiti nelle terre di Scozia e a me invece sembra sempre e ancora come in quelle giornate al Morra, dove ci sfarinavamo cervello e polpastrelli appesi al calcare bianco che profumava di desideri e avventure.

Poi tra di noi si è sempre fatto così, sempre a cedere all’imprevisto, mai calcolando e in qualche modo sempre ad aspettarsi, in montagna come poi nella vita… come quella volta che si partì e non ce la facemmo. Eppure ancora lo ricordo, parlammo molto, di tutto, serenamente, il classico esempio di quei bei ragionamenti tranquilli sul mondo e sulle cose che si fanno di solito in posti scomodi… come appesi in due a un chiodo sotto una grandinata interminabile… finchè un fulmine un tantino troppo vicino ci consigliò di proseguire il discorrere davanti ad una birra… e da dietro il vetro alti alle nostre spalle salivano i vapori. Era ottobre. Al Corno Piccolo.

Siamo cresciuti così, e ci sono cresciuto con te, in mezzo a quegli anni selvatici con la mia mamma che quasi moriva di crepacuore a vedermi venir grande così ignorante e piantacasini. E Roma dominava sui nostri studi, primi lavori, amori e debolezze. E ogni volta che mi giravo c’era questo tuo sorriso irriverente con una gauloise perennemente schiacciata da una parte, tanto mentre ti dondolavi in sosta quanto quando tiravamo tardi sulla scalinata della facoltà.

E anche se a volte, quando mi fermo a pensarci, mi rimane l’impressione di non sapere più recuperare quel modo e quella voglia e quel piacere, in montagna dico, di cacciarsi in posti orrendi o stravaganti, mi è sempre rimasta la certezza che tornando non si potrebbe non farlo di nuovo insieme, che quella parete o quella certa cresta mi aspetta solo con la corda attaccata al tuo imbrago.
Fiato e fegato e pancia permettendo… quella neve crostosa e dura di quella notte sul confine, quel tuo dimenticarti gli attrezzi proprio sotto la parete dopo tutto l’avvicinamento, quel gridarsi barbarità da un tiro all’altro per il gusto di turbare i guru del tempio dell’arrampicata tutti così compressi nella parte da recitare… e allora quanto ci si divertiva a dissacrare, ad esagerare: i chiodi si tiravano sempre, si smartellava di maledetto, i ramponi mai affilati che la ruggine sulle punte quella la si toglieva a calci nel ghiaccio, le picche come zappe, che poi su certi canalini tutti marciumi funzionavano a meraviglia.

In montagna così, come quei sudori giù per la schiena al Lorousa, non ci sono più andato, dico divertendomi e cagandomi così… come quella volta che picchiasti la testa, e veniva giù sangue a scrosci e per farti ricucire scendemmo per forre e dirupi in qualche maniera che ancora non ricordo e alla fine il medico condotto del paesino era strabico… il sangue quello torno col vino, ma i punti ancora si vedono. E io non smettevo di ridere.

Al Corno Grande ci andammo con tutta la compagnia bella, in notturna, mentre i colori salivano dal mare che si intuiva lontano e presente, e più si saliva, più gli appigli diventavano chiari e gli appoggi facili fino a sbucare sulla punta della vetta occidentale e rimanemmo tutti muti in quell’aria trasparente a guardare il sole salire rendendo giustizia ai colori degli altopiani vicini, delle creste vicinissime, di tutto quel susseguirsi di colline che si assotigliavano nell’orizzonte azzurrognolo, confuso di mare e cielo.

A volte, come chi non sa leggere e scrivere, torno alle montagne per quel senso di mistero che le avvolge, ritorno in silenzio, quasi di nascosto, da solo, al mattino presto, per respirare il profumo delle ultime stelle nell’aria, quell’odore inconfondibile dell’alba in quota e del vento che scende dalle pareti che si vestono di luce con il primo chiarore del giorno.

Perché davanti a qualcosa di imponente non si può che stare in silenzio, e si rompe quel silenzio solo per qualcosa di più grande e per una gioia più grande: come il tuo amico che si sposa.

E' il Mistero che domina.



Mai morire!











Fu

Fu, 28/04/2008