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Ultima Thule. Il Luogo Ideale della mitologia, il punto più lontano, la meta di ogni viaggio. Come lo Shangri-la delle popolazioni Himalayane o la Valle Perduta dei Walser. Potrebbe essere anche solo la collina dietro casa. Ma per ognuno è il luogo dove si desidera tornare.
Noi veniamo di lì: thuler.

La Ca'

I racconti del Resegone

cresta di Furggen
Giomo cresta di Furggen
La traccia scompare sotto le erbe giallastre e lunghe, sotto le foglie di castagno e i ricci, piccoli, sfatti dalle pioggie che preannunciano l'inverno. Si sale in costa, non ci sono impronte di scarponi. Tra i faggi ormai quasi brulli appare la macchia verde dell'agrifoglio, macchia splendida sotto un cielo sbrindellato e grigio. Un po' di vento e qualche goccia colpiscono la giacca a vento, lo zaino, la fronte. Il loro piccolo rumore si amplifica. L'orecchio è vigile, i pensieri affilati e spogli come il paesaggio.

D'improvviso ecco, al termine della salita, le poche pietre squadrate ed i rovi della prima baita, diroccata. E' invasa, avvolta come da una piovra dalle mille braccia sottili. Vicino, ecco qualche castagno. Avranno almeno duecento anni. Sono il segno dell'uomo, povere ma rassicuranti sentinelle, promesse di un pane uguale ma sicuro.

Da qui si scende, entrando nella valletta. Stupore, sempre nuovo per la qualità del silenzio, che fluisce tra i rami, il rivolo d'acqua della piccola forra, le roccette calcaree, piccoli gendarmi che contornano in alto, sopra il limite del bosco. C'è un silenzio di attesa. Tutto attende una mano che si metta al lavoro, una presenza umana che renda vita alla vita vegetale e minerale.

Davanti alla ca' per prima cosa si appende lo zaino al chiodone, ben infisso accanto alla porta. Un primo giro d'intorno, prima di cambiarmi la maglietta fradicia. Poi il rito della chiave. E' la chiave più preziosa che posseggo, vecchia di almeno vent'anni, consegnatami dallo zio con fare solenne. Non apre cassaforti, ma una soglia che mi consegna al tempo ed alla bellezza.

Tre, quattro giri. Apro con cautela, vien giù un po' di polvere. Sul pavimento qualche fatta di topo. Bisogna aprire le imposte della finestrella con la croce dell'inferriata, che entri un po' di luce. Una passata di scopa (quella fatta coi rametti di faggio, altro che roba sintetica) e poi via con la legna.

Il boschetto lungo il torrentello è ricco di faggi. In mezz'ora è facile raccogliere grossi rami secchi, portarli davanti alla ca', e col vecchio cavalletto pareggiare un qualche centinaio di tocchi. Che finiscono nella piccola legnaia e vicino alla stufa, dentro, e pure nel camino.


Intanto è subito buio. Il vento leggero sa di neve. Fruscii leggeri, nessuna luce, solo il fuoco comincia a ruggire. Certo, ho il giornale di oggi, un paio di libri, qualche cosa da metter su nella pentola annerita. Ma è il silenzio di fuori e le fiamme di dentro che alimentano il bello che non basta mai.

E così il silenzio ed il fuoco sono un soglia. Sì, qui trovo un brandello di quel vero, di quella meraviglia che sempre ti sfugge nell'attimo che la vivi. E tutto cominicia a ricomporsi, sai che sei, che respiri, che non ti basti. Ma la chiave seconda, quella che apre l'Altrove, ecco, so che c'è. Ma arriverà come un dono gratuito, come un sacco di castagne portate da amici insospettati, come una polenta scodellata con discrezione in tempo di fame.

Arriverà. Ed allora il sonno che verrà presto, davanti ad un filo di fumo è parte dell'attesa. Dorme la valletta, dormono gli alberi e le rocce. Il Vero veglia. Che possa trovarmi come un bambino, con gli occhi spalancati, senza parole inutili che non servono. Che io possa esserne degno.


Marco Simi

Marco Simi, 01/01/2001